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Per una rinnovata identità laica

L’attribuzione dei fondi europei del Next Generation EU pone il Paese di fronte a una prospettiva che di fatto era scomparsa dal panorama culturale e politico non solo italiano: immaginare il futuro in termini di individuazione di obiettivi e processi sociali in grado di disegnare in modo sistemico un nuovo modello di sviluppo e rinnovate architetture politiche e istituzionali.

La lunga fase conseguente agli straordinari eventi succedutisi nell’anno fatidico 1989 ha consegnato alla storia, in parte proprio in nome di quel mood sintetizzato nella formula “fine della Storia”, un lungo periodo genericamente etichettato come postmodernista e caratterizzato da un pensiero unico iperliberista. Ne sono derivate forme di omologazione politica, economica e culturale che hanno messo in crisi l’idea stessa di progresso, un’idea che aveva caratterizzato una lunga fase della storia dell’umanità. Prima che intervenisse il cosiddetto crollo delle ideologie, robusti apparati filosofici e di pensiero innervavano sistemi aventi una rigorosa logica interna. Illuminismo, idealismo e marxismo si muovevano in modalità lineare, fondandosi su un presupposto di affidamento e progettualità volto alla costruzione di un futuro interpretato come promessa.

L’era postmoderna ha invece incentrato ogni sforzo politico e intellettuale sulla rielaborazione di un esistente trionfante e senza alternative. Un’infinita litania di riedizioni, rimodulazioni, rivisitazioni, reinterpretazioni; in pratica un eterno presente incapace di creare nuovo pensiero. Il risultato del confinamento nel presente è che il futuro ha smesso di essere il luogo della speranza, dell’utopia e della progettazione per diventare un luogo distopico di cui avere paura, il luogo degli incubi da evitare piuttosto che dei sogni da realizzare.

Il presente cristallizzato, sempre più dimentico del passato e incapace di immaginare, programmare e perseguire linee di sviluppo per nuovi modelli di società, porta con sé la frantumazione dei saperi, ciascuno dei quali ha raggiunto ovviamente importanti risultati settoriali, ma perdendo di vista un’unità di intenti e una coordinata modalità di diffusione indispensabili per assicurare la crescita culturale complessiva della società. Ne sono derivati una marginalizzazione del ruolo della scienza e un ridimensionamento dell’importanza della condivisione dei saperi che hanno contribuito non poco, insieme a molti altri fattori, alla diffusione e allo sdoganamento politico dell’ignoranza.

Non che si possa immaginare un’anacronistica, velleitaria e controproducente reductio ad unum delle branche sempre più specialistiche della scienza e della cultura in generale, ma certamente sarebbe importante promuovere una nuova consapevolezza della centralità del ruolo che i saperi nel loro insieme possono svolgere, quello di rappresentare un meta-valore, dunque non semplicemente un valore aggiunto a ciascuno dei comparti della comune convivenza, ma un valore che vada oltre i singoli saperi e che costituisca il nucleo intorno al quale creare una nuova visione della società, capace di riprendere il cammino lineare verso il progresso abbandonando il cammino circolare postmodernista.

Questa esigenza è in grado di fungere anche da catalizzatore di nuovi processi atti a superare lo stallo in cui versa la situazione politico-istituzionale italiana. Nell’attuale fase post-ideologica, un punto di partenza può essere individuato nell’irreversibile fine dell’unità dei cattolici, non solo in politica, ma ad ogni altro livello della vita sociale. Peraltro, l’irrilevanza politica del collante religioso diventa un valore positivo in tempi di evoluzione multietnica, multirazziale e multiculturale della società.

Intorno alla rivalutazione dei saperi è dunque possibile costruire una rinnovata identità laica, depurata da una non più necessaria contrapposizione di stampo religioso, ma incentrata su lotta all’ignoranza, centralità della scienza, della cultura e dell’istruzione, contrapposizione a ogni forma di populismo e sovranismo, rilancio dell’idea europea. Una nuova unità di intenti che possa tramutarsi in progetto politico, in un processo volto a convogliare tutte le anime di un ampio schieramento progressista capace di raccogliere il consenso di élite culturali, giovani generazioni e menti illuminate intorno a temi e obiettivi di cruciale rilevanza, quali l’eliminazione di ogni forma di discriminazione di genere, la prevenzione della formazione di sacche di razzismo (evitando l’errore di considerare il pensiero suprematista bianco appannaggio esclusivo di altre società da cui l’Italia possa considerarsi immune), la definizione di misure a sostegno della natalità in combinazione (e non in contrapposizione) a una sostenibile ma insieme generosa e coraggiosa politica di controllo dei flussi migratori. E ancora, una progettualità massiccia sulle giovani generazioni, non solo attraverso un ammodernamento e un rafforzamento dell’apparato volto a garantire loro istruzione e accesso al mondo del lavoro, ma anche creando architetture sociali e amministrative tali da realizzare un ambiente tecnologicamente avanzato all’interno del quale i giovani possano riconoscere il proprio modo di pensare, di agire e di immaginare il futuro.

Un processo di aggregazione politica intorno a programmi così ambiziosi comporta ovviamente tempi lunghi e presuppone il superamento dell’attuale fase di emergenza sanitaria, politica ed economica. Un governo guidato da una personalità esperta, competente e universalmente stimata come Mario Draghi può essere la risposta giusta per affrontare l’oggi e per preparare il futuro, a patto che le forze politiche sappiano interpretare il loro ruolo in termini di servizio e si mostrino finalmente consapevoli della indifferibilità di superare uno stallo, culturale oltre che politico, che esse stesse hanno in gran parte contribuito a generare.


Fabrizio Del Signore

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