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Periscopio

Con questo articolo inizia la sua collaborazione con II Commento Politico Danila Bonito, giornalista e scrittrice che ha lavorato in Rai, inviato speciale poi caporedattore e autore di numerosi programmi per RETEUNO e RETEDUE (Droga che fare, Piacere Raiuno, I giorni dell’infanzia, Ci vediamo alle dieci, Donne al bivio, Cronaca in diretta). Ha condotto diverse edizioni del TG1 e realizzato inchieste per TV7e per gli Speciali del TG1. Si è sempre occupata del sociale e di medicina con particolare attenzione al mondo femminile.

Danila Bonito curerà una sua rubrica, "Periscopio", su temi relativi all'informazione e ai media.

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“Non guardo più la televisione e se la accendo cerco una serie televisiva che possa farmi rilassare...”. Cosa sta determinando nei più una sorta di rifiuto dell’informazione in questo tempo di pandemia? Eppoi come ci difendiamo se inevitabilmente veniamo in contatto con le notizie non solo attraverso la televisione ma semplicemente accendendo un telefonino o un tablet? È ormai più di un anno che Il virus Covid 19 condiziona profondamente le nostre vite, quelle degli oltre sette miliardi di popolazione mondiale. I notiziari, i programmi di approfondimento giornalistico, quelli cosiddetti di intrattenimento tranne poche ormai dissonanti eccezioni non fanno altro che parlare del virus, che mostrare immagini ripetitive di terapie intensive, di medici che solo un anno fa ci sarebbero sembrati attori di film di fantascienza. Il rifiuto nasce dalla paura, dal senso di impotenza o di rassegnazione, da un inevitabile aumento della depressione causata dalle conseguenze sociali ed economiche della pandemia. Bisogna però interrogarsi anche sulla quantità e qualità dell’informazione sia della televisione pubblica che delle reti private, delle radio, come dei social in senso lato in cui si sovrappongono notizie e commenti troppe volte violenti o catastrofici. Epidemiologi, infettivologi, immunologi rimbalzano incessantemente nell’arco delle 24 ore da un mezzo di comunicazione all’altro e non sempre le loro tesi ed opinioni sono allineate. Hanno legittimi punti di vista e diverse esperienze professionali ma ormai ci troviamo a scrutare i loro volti, a interpretare le loro espressioni come fossero vati di un destino quasi sempre avverso. Le domande dei giornalisti - quasi mai specializzati (medicina o scienza) - si accavallano in uno pseudo tentativo di rassicurazione del pubblico che spesso sortisce un effetto esattamente contrario. I dati, le statistiche, gli algoritmi anche questi fanno ormai parte del nostro quotidiano, poco importa se i morti siano 400, 200 o 700. Come se ogni giorno ci fosse un disastro aereo, eppure il diffondersi e il ciclico riacutizzarsi dell’epidemia non sembra turbare i tanti che malvolentieri si adattano alle decisioni di chiusure “colorate” del governo. Medici e personale sanitario ieri celebrati come eroi oggi sono guardati con sospetto, il vaccino arrivato in tempi impensabilmente veloci (basti pensare che per l’AIDS è ancora una chimera) dopo alcuni casi di morti sospette è ora sotto la lente di ingrandimento e non solo dell’AIFA. E anche qui si è scatenata la bagarre: “Il governo nella persona del presidente del consiglio o del ministro della salute dovrebbe parlare alla popolazione… lamentano i cronisti in affanno di fonti, mentre scienziati ed esperti discutono di cause ed effetti non dimostrabili. I giornalisti fanno troppo spesso domande inutili alla ricerca di un sensazionalismo di cui sinceramente nessuno ha bisogno, mentre è chiaro che l’unica via d’uscita dall’epidemia sta nel vaccino (con il suo prezzo anche in termini di vite umane) e nell’affinamento della cura di chi contrae il virus. Nel frattempo, i troppi inviati lungo la penisola spesso immortalati con alle spalle panorami deserti o superaffollati a seconda dei divieti totali o parziali potrebbero magari, regione per regione, approfondire come il paese dei “governatori” stia organizzandosi realmente per affrontare le emergenze di varia natura. Tra coloro che non seguono troppo l’informazione nelle sue varie declinazioni ci sono i giovani e giovanissimi che tra una lezione in DAD e una foto su Instagram o un video su tik tok spendono il loro tempo vuoto di socialità, quando non si assembrano con la baldanza e l’arroganza tipica dell’età in barba ai divieti e alla fragilità dei nonni. A loro andrebbe dedicata una campagna di informazione adatta sia nei contenuti che nel linguaggio che gli stessi professori potrebbero suggerire come parte integrante del percorso scolastico. Due parole, infine, a proposito di dissonanze, sulla pubblicità televisiva e non solo. L’espansione straordinaria del consumo di contenuti digitali e la contrazione degli investimenti pubblicitari ha portato alla cancellazione di molte campagne e a ripensare al messaggio che esse devono veicolare, un messaggio più empatico che possa creare una piccola autentica emozione: una sfida non da poco di cui per ora si intravede solo qualche tentativo ben riuscito.


Danila Bonito




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