La sanità avrebbe dovuto essere una delle protagoniste del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), in particolare in seguito alle difficoltà ed ai problemi emersi durante la pandemia e la decisione del Governo Conte di non fare ricorso ai 37 miliardi del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Invece, a fronte dei 68 miliardi di stanziamenti preconizzati nel programma predisposto dal Ministero della Salute, di cui 37 a valere sul Mes, la missione sei del Pnrr (dedicata al settore) ne prevede solo 20. Queste cifre da sole dicono poco perché altri investimenti per la sanità sono previsti alla voce “digitalizzazione”. L’aspetto che desta perplessità è che non si è utilizzata la leva e l’occasione del Pnrr per una revisione profonda di una riforma del Sistema sanitario nazionale (Ssn) che ormai data dal 1978.
Gli interventi previsti nel Pnrr, da un lato, puntano sul potenziamento dell’assistenza domiciliare tramite la realizzazione delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità, dall’altro sull’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero. Perché le Case della Comunità diventino il vero punto di riferimento per la popolazione è imperativo precisarne requisiti e organizzazione, ora piuttosto vaghi. La digitalizzazione per essere efficace deve fare perno sulla Tessera sanitaria elettronica (non prevista nel Pnrr) con microchip o con chiavetta USB con il fine di ridurre al minimo l’odioso peregrinare del paziente, soprattutto di quello anziano privo di qualsiasi mezzo di mobilità. Il Pnrr nulla dice in ordine alla realizzazione di una rete poliambulatoriale specialistica (l’assistenza specialistica comporta una spesa pari al 15-16% della spesa sanitaria pubblica totale, cioè 17-18 miliardi l’anno) che preveda una specifica struttura ogni 300/400 mila abitanti, una ogni sei/otto ambiti territoriali delle relative Case della Comunità, dotata di adeguate e necessarie attrezzature medico sanitarie e finalizzata ad allargare e ad accrescere la capacità di risposta.
Oltre questi aspetti, relativi agli investimenti sanitari previsti nel Pnrr, sarebbe stato opportuno prevedere una riforma della legge quadro del 1978 per tenere conto dei mutamenti profondi delle conoscenze mediche e tecnico-scientifiche che hanno informato e permeato il settore, consentendo l’avvento/introduzione di impensabili innovazioni terapeutico-strumentali e dei mutamenti altrettanto profondi dei contesti sociali e del quadro epidemiologico.
Ciò non comporta unicamente un impegno a maggiori stanziamenti annuali e a più adeguate dotazioni organiche di medici e di personale sanitario. Un documento della Confedir (l’associazione dei dirigenti medici) presentato al Cnel sottolinea che “la disponibilità tecnologica specifica è condizione necessaria ma non sufficiente per realizzare la piena operatività, in quanto un posto letto di terapia intensiva “attrezzato” è fatto sì di tecnologia ma al contempo non meno di risorse umane non solo numericamente necessarie ma anche formate. In caso diverso, l’utilizzo, in regime di cure intensive, di personale impiegato di norma in altri reparti ospedalieri, e quindi privo di specifica formazione, non offre la garanzia di un posto letto di terapia intensiva “attrezzato”.
Inoltre, è necessario garantire l’integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali, in particolare l’integrazione dell’assistenza sanitaria domiciliare con gli interventi di tipo sociale consentirà di raggiungere la piena autonomia e indipendenza della persona anziana/disabile presso la propria abitazione.
Per rendere questo processo sempre più ineludibile, in quanto migliorativo della qualità e della sicurezza delle cure, la riforma deve risolvere il nodo della omogeneità del rapporto di lavoro del personale oggi “convenzionato” (i medici di medicina generale, colloquialmente chiamati “medici di base”) con quello del resto del Ssn. È un nodo non facile, ma proprio l’esperienza della pandemia ha mostrato l’esigenza e l’urgenza di scioglierlo.
Sono riforme che possono essere formulate ad integrazione del Pnrr in questo periodo di interlocuzione tra il Governo italiano e la Commissione europea.
Bagehot
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