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Polonia e Ungheria a un passo dalla “putinizzazione”

“Il partito di destra al governo guidato da Jaroslaw Kaczynski odia i media perché forniscono informazioni sfavorevoli alle autorità. Il loro principale problema è che il pubblico vuole verità sull’inefficacia del governo nella lotta contro la pandemia, così come sulla corruzione, sul nepotismo e sulla menzogna che dominano il sistema di governo”. Così ha affermato, in una recente intervista ad Andrea Tarquini di Repubblica, il polacco Adam Michnik, che fu militante contro la dittatura comunista ed è oggi uno dei maggiori oppositori della destra di “Diritto e Giustizia”, al potere in Polonia dal 2015. Fondatore del giornale indipendente Gazeta Wyborcza, Michnik è fra gli organizzatori dello sciopero dei media contro una proposta di legge che vorrebbe imporre agli editori una tassa sulla pubblicità. Un contributo alla crisi causata dalla pandemia, recita la motivazione ufficiale: in realtà, denunciano gli opinionisti, un modo per far chiudere i battenti ai giornali e zittire il pensiero libero.

I numeri della partecipazione alla mobilitazione che nei giorni scorsi ha fermato circa cinquanta testate polacche, incoraggiano le voci della protesta schiacciate da una politicizzazione dei media che, secondo Michnik, ricorda i metodi della propaganda di regime, stile Zdanov o Goebbels.

L’affronto alla libertà di stampa è l’arma sempre carica dei governi illiberali del centro Europa avviati deliberatamente e sempre più decisamente verso quella che le opposizioni democratiche in Polonia chiamano “putinizzazione”. In Ungheria, Klubradio, una delle principali radio indipendenti, sta per spegnere i microfoni, oscurata dall’accusa di aver violato alcune regole di trasmissione. Il regime di Victor Orbán attacca la libertà di stampa, l’indipendenza della magistratura, il diritto di asilo degli immigrati. Sotto gli occhi di un’Europa allarmata ma non in grado di imporre al partito Fidesz le condizioni per continuare a partecipare alle decisioni comunitarie. E infatti i sovranisti di Orban fanno ancora parte del gruppo dei Popolari nel Parlamento europeo, nonostante i partiti di orientamento cristiano e ispirazione sociale abbiano ripetutamente votato per condannare le politiche dispotiche e le campagne ferocemente antieuropeiste orchestrate in patria dal governo di Orban.

La violazione dei diritti e delle libertà fondamentali, in Polonia come in Ungheria, si esprime con misure autoritarie che mirano a reprimere il dissenso e a mortificare la partecipazione politica e civile dei cittadini. L’ emancipazione delle categorie più svantaggiate è osteggiata con l’evidente intenzione di immobilizzare la piramide sociale che garantisce il potere degli autocrati. La discriminazione di classe, di razza e di genere è inscritta nell’agenda delle politiche di governo. Le manifestazioni di piazza delle donne polacche contro la legge che limita il diritto all’aborto sono solo l’ultima reazione all’oscurantismo di leggi e provvedimenti che, gridano le opposizioni, costituiscono di fatto una “controriforma morale”.

L’aumento dei movimenti populisti e autoritari ha segnato fin qui il ventunesimo secolo in Europa e nel mondo. Fenomeni resi ancora più gravi dalla crisi provocata dalla pandemia che ha creato nuove povertà, generato disagio sociale e criminalità ai quali alcuni Stati hanno reagito inasprendo il rigore e affossando le libertà.

In una Risoluzione del Parlamento europeo del 20 gennaio scorso si legge che la pandemia ha “portato a una diminuzione del monitoraggio e della documentazione delle violazioni dei diritti umani a livello globale”, e questo proprio in tempi in cui l’attenzione dovrebbe essere più vigile. Il documento del Parlamento europeo si conclude, infatti, con l’invito alla Commissione e al Consiglio “a rafforzare i programmi di sostegno alla democrazia dell'Unione a livello globale”.

Nella stessa Risoluzione, il Parlamento di Bruxelles ribadisce che “l'UE avrà riconoscimento, credibilità ed efficacia sulla scena mondiale solo se i suoi valori fondamentali, in particolare quelli del rispetto della democrazia, dei diritti umani, dello Stato di diritto e dell'uguaglianza, saranno credibili all'esterno, e ciò sarà possibile solo se l'UE garantirà la coerenza interna ed esterna delle sue politiche in questi ambiti”. Le cronache, ormai frequenti, degli abusi del potere e delle manifestazioni nelle piazze della Polonia e dell’Ungheria riferiscono, invece, di un allontanamento preoccupante dei due Paesi dal modello di democrazia occidentale.

L’Unione europea ha posto fra le condizioni per l’erogazione dei fondi del Next Generation Eu il rispetto dello Stato di diritto e su questo ha ingaggiato una controversia con Polonia e Ungheria che ha provocato uno stallo nell’approvazione del piano europeo. Superato solo quando l’esecuzione del vincolo è stata di fatto rimandata alle tornate successive degli aiuti. Intanto l’oltraggio alla democrazia nei due Paesi continua e si fa più grave.

Il vincolo dello Stato di diritto, prospettato e poi smorzato dal ricatto di Polonia e Ungheria, andrebbe quindi rilanciato: la risposta economica europea alla crisi provocata dalla pandemia può diventare anche un progetto comune di ricostruzione della democrazia nei Paesi delle “democrazie illiberali” dell’Est. Questa questione è oggi, e non potrebbe non esserlo, sul tavolo dell’Europa e il nuovo governo italiano ha l’autorevolezza per dare il suo contributo al confronto fra gli Stati per una soluzione equilibrata del problema.

Il rispetto e la promozione dei diritti umani sono principi fondanti dell’Ue. E un’Europa che voglia continuare ad essere protagonista di progresso economico e sociale nel mondo, non può tollerare la deriva autoritaria degli Stati che ne fanno parte.


Silvia Di Bartolomei

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