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Questioni importanti e questioni urgenti

Scriveva nel 1931 Paul Valery in Regards sur le monde actuel: “I conflitti politici distorcono e disturbano nelle persone la capacità di distinguere fra le questioni importanti e le questioni urgenti.” È esattamente quello che sta avvenendo in queste settimane in cui si discute su come fare ripartire l’economia.

Non c’è dubbio, ad esempio, che la riforma della pubblica amministrazione sia una questione importante da risolvere in fretta e che la semplificazione delle leggi sia una necessità per l’economia italiana. Ma non sono qualcosa che si possa risolvere con un tratto di penna, cioè con un decreto-legge. Esse implicano un ripensamento degli apparati pubblici da preparare con cura e da codificare con una legislazione coerente.

Accanto a tali questioni importanti c’è, tuttavia, un problema urgente, che è quello di impiegare le risorse che l’Italia sta raccogliendo sul mercato e quelle che l’Europa dovrebbe offrirci per uscire dalla crisi economica. A tal fine è necessario affiancare ad una buona riforma della pubblica amministrazione, che necessariamente pretende tempi lunghi, una soluzione straordinaria, cioè un’idea che consenta di affrontare in tempi brevi la questione del rilancio dell’economia.

In due articoli molto diversi fra loro, ma accomunati da una forte critica dell’attuale progetto di semplificazione amministrativa del governo, Sabino Cassese sul Corriere della Sera e gli economisti Boeri e Perotti su Repubblica, pur proponendo ricette diverse, sono d’accordo sul fatto che il vero problema italiano deriva dall’esistenza di troppe stazioni appaltanti. Un mese fa abbiamo titolato un nostro editoriale parafrasando un antico slogan: “Dieci, cento, mille… stazioni appaltanti”, per dire che il problema è proprio questo. Siamo lieti di non essere più da soli, ma anzi in così autorevole compagnia.

Per ridurre drasticamente il numero delle stazioni appaltanti è necessario istituire un unico Commissariato per i fondi europei, affidando ad esso il compito, con poteri semplificati, di spendere tempestivamente i fondi. Speriamo che il governo si renda conto che confondere tra questioni importanti e questioni urgenti non solo può rendere più complicata l’utilizzazione delle nuove risorse ma addirittura può mettere a rischio il successo del negoziato in corso con l’Europa.

Sta emergendo, poi, una seconda questione sulla quale si rischia di confondere ciò che è importante con ciò che è urgente: la riforma fiscale. È chiaro che i sistemi fiscali vanno aggiornati di tempo in tempo alle nuove condizioni dell’economia internazionale ed interna. L’Italia ha avuto due grandi riforme fiscali negli ultimi 50 anni, quella di Visentini negli anni Settanta e quella di Vincenzo Visco alla fine degli anni Novanta. Poi vi sono state non decine, ma centinaia di leggine che hanno pasticciato più che migliorare il sistema. È evidente che il governo ha il dovere di affrontare il tema di un nuovo sistema fiscale ma ciò non può voler dire che sia in grado di venirne a capo in breve tempo, addirittura usando a tal fine le risorse europee. Se così facesse, confonderebbe il progetto (strutturale) di disegnare un sistema fiscale all’altezza dei tempi con l’illusione di fare ripartire l’economia abbassando le imposte: una proposizione che è assai più dubbia e che converrebbe lasciare alla leggerezza dei consiglieri economici di Salvini. Riformare il sistema fiscale è opera di legislatura; sgravare dalle imposte è opera congiunturale di incerta efficacia; usare i fondi europei per ridurre le imposte sugli italiani è un’ambiguità che potrebbe confermare il sospetto che l’Italia voglia vivere alle spalle dei contribuenti dei Paesi del Nord Europa.

Ai nostri alleati europei deve essere inviato un messaggio inequivocabile e cioè che nel piano di rilancio strutturale dell’economia italiana le risorse andranno agli investimenti. Gli sgravi fiscali non sono investimenti ed anzi in momenti di incertezza non è affatto sicuro che possano avere un effetto di stimolo, perché le persone potrebbero decidere di aumentare i propri risparmi e non i propri consumi.

In conclusione, da un lato l’Italia ha bisogno di investimenti e dall’altro ha bisogno di farli in fretta e bene e deve quindi prevedere una sola stazione appaltante che li definisca, li scelga e li esegua. Le due questioni, dunque, si saldano in una questione unica che il governo farebbe bene a non aggirare.

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