Lettera da Bruxelles
Infine, embargo fu. Limitato al petrolio, scadenzato in più tappe nella sua applicazione, con l’eccezione ungherese, e l’obiettivo di colpire il 90% delle importazioni di greggio russo entro la fine dell’anno. È il classico compromesso europeo, lento, farraginoso, frutto di un cantiere che lo rende suscettibile di ulteriori decisioni, ma anche con una sua sostanza, e che ciascuna parte può considerare un successo o meno, secondo i propri interessi. Quanto al gas, con volumi ben maggiori, è un’altra partita.
In un articolo sul Mattino, Giorgio La Malfa aveva già spogliato la politica europea dei suoi slogan rilevandone le contraddizioni: da una parte armiamo gli ucraini, dall’altra nei primi due mesi della guerra abbiamo armato anche Putin finanziandolo con circa 750 milioni di euro al giorno (dati del Center for Energy and Clean Air). Il paradosso vale anche per la Russia, che vendendo la propria energia all’UE le permette di continuare a prosperare e anche di costruire le armi che essa destina all’Ucraina. Sono gli ultimi colpi di coda di quella che è stata la scommessa dei liberaldemocratici: favorire la stabilità dei rapporti internazionali anche tra “diversi” attraverso l’interdipendenza dei rispettivi mercati.
Non è cambiamento da poco, la fine della globalizzazione, o almeno una sua pausa che, ancora Giorgio La Malfa, ha attribuito all’uso politico del commercio internazionale da parte di regimi autoritari. Alla fine, l’assenza di una convergenza tra lo stato di diritto e il libero commercio rende impraticabile la coesistenza di un mercato comune e di spazi politicamente incompatibili.
Se tanto è dato al tramonto (provvisorio?) della globalizzazione, per l’Unione Europea vi sono varie conseguenze a lungo termine.
Una prima è la lezione dell’embargo alle fonti energetiche russe: il processo richiede gradualità, preparazione di approvvigionamenti alternativi, maturazione politica e soprattutto consapevolezza dell’opinione pubblica. Dopo aver gridato contro la globalizzazione approfittandone però dei benefici economici, buona parte della nostra società (imprese, sindacati, partiti) potrebbe rimpiangerla. Ma tutti dovremmo adattarci – e magari ridurre di un grado il riscaldamento, riciclare meglio i telefonini usati o rinunciare all’aria condizionata.
Una seconda è che lungi dall’essere un rompete le righe, la ridefinizione degli spazi del mercato richiede ancora di più un approccio europeo comune. La politica dell’energia ne è il canonico esempio ma finora non si va oltre a decisioni temporanee di acquisti comuni e prezzi bloccati, mentre nessuno lancia cooperazioni rafforzate e tantomeno revisioni dei trattati. Si va avanti per pezze, non molto di più, ma il mondo cambia velocemente e con la determinazione con cui si combatte in Ucraina, a Bruxelles e nelle altre capitali si dovrebbe combattere un’altra guerra, meno sanguinosa, ma non meno cruciale per i destini dell’Europa.
Niccolò Rinaldi
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