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Social e democrazia

L’interessante contributo del professor Fabio Bassan sul caso Trump -Twitter (Il Commento politico, 30 maggio 2020) solleva una serie di riflessioni che riguardano il rapporto fra democrazia e social.

L’ultimo cenacolo organizzato dalla Fondazione Ugo La Malfa prima del lockdown ha avuto come tema “La democrazia al tempo dei social” di cui allego in calce il link del video di Radio Radicale.

Tra i tanti interessanti interventi, la tesi illustrata da Alfredo Recanatesi nella sua introduzione al dibattito: “Il suffragio universale si è giovato del contributo determinante dei corpi intermedi (stampa, associazioni professionali, sindacati, ecc.) che “istruivano” i propri rappresentati e rappresentavano presso le Istituzioni e la Politica i propri aderenti. I social hanno fatto piazza pulita dei corpi intermedi stabilendo un contatto diretto fra il leader politico con i singoli cittadini, sacrificando la “dialettica” con la Rete in grado di profilare tutti”.

“Una ricerca USA – ha affermato Recanatesi – ha dimostrato che durante la campagna elettorale il Presidente del Brasile, Bolsonaro, ha trasmesso attraverso la Rete l’80% di messaggi falsi o distorti. La vittoria di Bolsonaro ha dimostrato però che per vincere le elezioni non bisogna avere e illustrare la proposta migliore, ma comunicare il messaggio più efficace seppur non vero”.

Di esempi analoghi ne è piena la cronaca degli ultimi anni.

E’ ormai acclarato il ruolo ricoperto dalle fake news di origine straniera nell’elezione di Donald Trump alla Presidenza USA, ma anche lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica per l’acquisto di decine di milioni di profili che ha costretto Mark Zuckerberg a scusarsi di fronte al Senato USA e porre alcuni ostacoli perché quanto accaduto non si ripetesse, mentre l’acquirente – Steve Bannon – è diventato il punto di riferimento dei partiti di destra italiani e sta cercando di acquisire la Certosa di Trisulti per istituire l’Università del Sovranismo internazionale.

Altrettanto acclarato il ruolo determinante delle fake news soprattutto di origine straniera nella vittoria del “leave” nel referendum sulla Brexit, mentre la BBC ha recentemente affermato che Bolsonaro, Trump e Salvini ed i loro sistemi di comunicazione sono i campioni nel diffondere notizie false o distorte.

E proprio nei giorni scorsi il COPASIR, il Comitato Parlamentare che vigila sull’operato dei servizi segreti italiani, ha denunciato i tentativi operati dall’estero di influenzare durante il lockdown l’opinione pubblica italiana contro il Governo, l’Unione Europea e i Paesi dell’Alleanza Atlantica.

D’altra parte i social sono diventati il campo d’azione quasi quotidiano degli “haters” che operano a bella posta per ben individuati scopi politici e dei “cospirazionisti” che tendono ad offrire soluzioni semplici a problemi complessi, approfittando della caduta verticale del livello culturale del Paese che così priva l’opinione pubblica di quello spirito critico che dovrebbe costituire l’antidoto necessario per difendersi.

Forse non è a caso che i sistemi di “disinformazione” provengano per la maggior parte da determinati ambienti politici nazionali e internazionali, così come da Paesi che certamente hanno poca dimestichezza con la democrazia.

D’altronde negli ultimi anni si sono affermati nel nostro Paese modelli culturali e politici che certamente non si basano sulla competenza e sulla conoscenza, con personaggi assurti ai massimi livelli di ministeri e quindi di governo non attraverso cooptazione, ma attraverso i sistemi di selezione che in democrazia dovrebbero garantire scelte oculate.

Allora il tema dei social e delle fake news che condizionano pesantemente il gioco democratico del confronto e del dibattito si intreccia – a mio modesto avviso - con un altro tema illustrato dal Prof. Jason Brennan della Georgetown University in “Against democracy” un testo del 2016, pubblicato in Italia nel 2018 con introduzione di Sabino Cassese, un titolo volutamente provocatorio.

Brennan che divide gli elettori in hobbit (scarsamente informati e con scarsi interessi), in hooligans (molto informati ma per loro fare politica è come tifare per una squadra di calcio), in vulcaniani (molto informati, perfettamente razionali e senza eccessiva lealtà verso le proprie convinzioni), invoca l’avvento dell’epistocrazia, il potere di quanti cioè – come elettori e governanti – dispongono della conoscenza e della competenza per decidere.

Tesi non dissimile da quella ottocentesca di J. S. Mill per cui il suffragio universale poteva andare anche bene a condizione che il voto dei competenti pesasse di più di quello degli ignoranti.

Coniugare quindi “la democrazia al tempo dei social” con quanto afferma Jason Brennan può apparire provocatorio, ma nascondere il problema può essere pericoloso per la tenuta dei sistemi di quella democrazia rappresentativa cui tutti – o quasi – teniamo.

Ed il “quasi” è riferito a quanti vagheggiano forme di “democrazia diretta” casomai delegando il tutto a piattaforme gestite da privati e senza garanzie di sorta, creando “Ministri per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta” senza badare troppo a “la contraddizion che nol consente” e promuovendo modifiche costituzionali che con la scusa di tagliare i costi della politica di fatto mortificano l’Istituzione parlamentare e la stessa democrazia rappresentativa.

Temi, quelli sopra non esaustivamente enunciati, che necessiterebbero molto più articolate ed autorevoli trattazioni.

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