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Tornare a respirare

Riceviamo un contributo che volentieri pubblichiamo per aprire un’ampia riflessione su un tema che riteniamo cruciale non solo per l’Italia ma per tutte le nazioni occidentali: il rapporto tra cultura e democrazia, in particolare nell’era dei social.

Tra le tante questioni dibattute durante gli Stati Generali dell’economia, un posto di rilievo ha avuto la giornata in cui ci si è occupati di cultura e turismo. Non poteva essere diversamente in un Paese come il nostro, ricco più di ogni altro al mondo di tesori artistici e naturali, una ricchezza che alimenta più del dieci per cento del pil.

Ma la cultura di un Paese si esaurisce nell’espressione “giacimenti culturali”?

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Per chi aveva vent’anni alla fine degli ’80 interessarsi alla politica era come respirare, un atto naturale di cui non si poteva fare a meno. Oltre un ventennio di antipolitica ha prodotto invece più generazioni di cittadini italiani completamente disinteressati alla politica quando non ostili. Il dilagare di forme di comunicazione social che consentono a ciascuno di esprimere in modo anche anonimo i propri sentimenti, a volte molto bassi, ha fatto il resto. Il risultato è che l’incultura e l’ignoranza hanno travalicato il confine della riservatezza individuale per diventare terreno di coltura per forme di populismo, qualunquismo e pressapochismo che, adeguatamente organizzate, hanno fatto la fortuna di molte esperienze politiche apparentemente antisistema.

In una democrazia ancora fondata sul principio di rappresentanza e quindi sul rapporto consensuale tra eletti ed elettori, un fenomeno di tali dimensioni, e così dirompente per lo sviluppo equilibrato della convivenza civile, rende cruciale l’attenzione alle politiche culturali in senso lato. Risulta però sempre più insufficiente la litania che porta ciascuno a chiedere (i governati) o a promettere (i governanti) nuovi massicci interventi a favore di scuola, università, ricerca (in tempi di pandemia è d’obbligo) e di ogni branca della cultura, alta o bassa che sia. Al netto delle condizioni di estrema difficoltà finanziaria che da anni condizionano in negativo la formazione dei documenti di bilancio e di programmazione economica dove le ingenti risorse auspicate e promesse non trovano quasi mai inveramento, il tipo di interventi a cui si fa riferimento in una società moderna validamente amministrata e governata dovrebbero e devono essere considerati dei prerequisiti piuttosto che degli obiettivi.

Migliorare la qualità e lo spessore economico dell’intervento pubblico a sostegno della cultura è operazione fondamentale ma non sufficiente. Di certo aiuterebbe nell’affrontare il tema delle larghe sacche di ignoranza che, divenute riserve di caccia di chi cerca soltanto immediato consenso, rappresentano un pericoloso impedimento alla formazione di una classe dirigente politica capace di esprimere una visione per il Paese, capace cioè di progettare interventi di ampio respiro a favore delle future generazioni e non soltanto per soddisfare i bisogni dell’oggi, pure rilevanti. E tuttavia non basta compiere un grande sforzo per sostenere in modo diretto le varie forme di espressione culturale, ma occorre affiancargli un processo finalizzato a rimuovere gli ostacoli frapposti tra le persone e la politica, prendendo atto della sussistenza di modalità comunicative da regolamentare, nel pieno rispetto della libertà di espressione, al fine di evitare che fungano da volano allo sviluppo di forme di incultura aggressive e potenzialmente pericolose per la democrazia. Il tema della cultura oggi in Italia è strettamente connesso alla riproposizione della centralità della politica, alla restituzione di piena dignità all’impegno politico, al riavvicinamento delle nuove generazioni ai destini della cosa pubblica, affinché possano finalmente tornare a respirare.

Fabrizio del Signore

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