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Un PNRR da rivedere in Parlamento

Altri canti di Marte …. con questo imperativo inizia un sonetto di Gian Battista Marino mirabilmente messo in musica da Claudio Monteverdi. In breve, questa noterella non riguarda i conflitti politici in atto in seno alla maggioranza (ossia gli arditi assalti delle schiere di Marte sul PNRR e non solo), ma unicamente gli aspetti di metodo economico della stesura del PNRR datata 12 gennaio ed approvata dal Consiglio dei Ministri. Tale stesura andrà presto all’esame del Parlamento, prima, e delle istituzioni dell’Unione europea (Ue), poi. Dato che nei prossimi due-tre mesi ci sarà un’interlocuzione con l’Ue, è auspicabile che questi aspetti di metodo vengano approfonditi ed appropriatamente risolti in modo che i finanziamenti giungano in porto e nei prossimi cinque anni contribuiscano alla ripresa dell’Italia.

Il «passaggio parlamentare» è specialmente importante: in esso l’opposizione deve avere un ruolo propositivo, anche sugli aspetti tecnici, perché il PNRR in confezione è un documento «nazionale» dell’Italia, non del Governo in carica. La durata della sua attuazione viene distribuita su cinque anni (che, vista l’esperienza internazionale di Banca mondiale e Fondo monetario, diventeranno verosimilmente tra sei e otto), superando quindi la legislatura in corso. Molto probabilmente, gran parte degli affidamenti per investimenti fisici e per acquisti di beni e servizi avranno luogo dopo il termine naturale di questa legislatura.

La stesura datata 12 gennaio è senza dubbio un miglioramento rispetto a quella di circa un mese fa. Ci sono aree, però, che destano perplessità anche serie:

Impatto macroeconomico Il documento stima che nell’ultimo anno del PNRR, l’Italia arriverà ad una crescita del 2,5%. Non è chiaro se si tratta di un differenziale cumulativo (rispetto alla situazione che ci sarebbe stata senza PNRR) o del tasso di crescita che si verificherebbe, grazie al PNRR, nel quinto anno di attuazione. Nel primo caso l’impatto del PNRR sarebbe impercettibile. Nel secondo, è difficile comprendere come, dopo circa tre lustri di stagnazione, due recessioni (nel 2008-2009 e nel 2011-12) ed una depressione provocata dalla pandemia ancora in corso, tale balzo del Pil si possa realizzare. Difficile pensare che sia un risultato degli effetti della Recovery and Resilience Facility sulla domanda aggregata, dato che un’iniezione di poco più di 30 miliardi l’anno (di 15 circa se si considerano solo le spese aggiuntive) ha effetti trascurabili su un’economia di circa 2000 miliardi di euro. Se è da attribuirsi agli effetti dei guadagni di efficienza dei «progetti» e delle «riforme», occorre illustrare come tali effetti si dispieghino in un arco di tempo così breve. È arduo sostenere, come fa il documento che «il capitale pubblico contribuisca in misura significativa e persistente alla produttività e alla competitività del sistema economico», senza sostanziarlo con evidenza empirica. Nel documento ci sono riferimenti all’impiego di modellistica econometrica della Commissione europea e del Ministero dell’Economia e delle Finanze; sarebbe auspicabile una presentazione di tale lavoro (con le sue ipotesi ed i suoi moltiplicatori) alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Comunque, data l’incertezza del quadro economico (e politico) mondiale, sarebbe consigliabile presentare tre o quattro scenari alternativi e se possibile formulare ipotesi sul «più probabile» utilizzando procedure di simulazione come «il metodo di Montecarlo» di cui si ha ampia dimestichezza sia al Ministero dell’Economia e delle Finanze sia alla Commissione europea.

Nesso tra riforme e progetti. Le «riforme» sono sintetizzate nel documento ma mancano le specifiche ed i cronoprogrammi per la loro attuazione. Ad esempio, si indicano i lineamenti di una vastissima «riforma» della giustizia, che richiederà leggi, decreti e regolamenti, ma non solo non è detto come i «progetti» (in gran misura digitalizzazione ed assunzioni a tempo determinato) siano strumenti per detta «riforma». Manca quello che dovrebbe essere un dato essenziale: i risultati della digitalizzazione effettuata negli ultimi due lustri nel comparto della giustizia. Questo punto riguarda altre componenti essenziali del PNRR, in particolare istruzione e pubblica amministrazione. Cronoprogrammi dettagliati non solo sono esplicitamente richiesti dalla Recovery and Resilience Facility (e condizionano le erogazioni dei fondi) ma illustrerebbero meglio il nesso tra «riforme» e «progetti» e consentirebbero di effettuare sia all’Ue che soprattutto all’Italia un monitoraggio della loro realizzazione durante l’attuazione del PNRR, con eventuali correzione di rotta, nonché una valutazione ex post successivamente. Tale monitoraggio e valutazione ex post sono espressamente richiesti nel Next Generation EU, come ha sottolineato di recente il Capo di Gabinetto del Commissario Gentiloni nel seminario organizzato dalla Fondazione Ugo La Malfa e dall’Assonime il 4 gennaio scorso.

Valutazione economica dei progetti. È un tassello fondamentale ma mancante; dato che Next Generation EU la richiede ex ante, in itinere ed ex post, le 47 «linee di intervento» possono essere consolidate in una ventina di progetti da sottoporre ad analisi costi - benefici ed evidenziando, per ciascun progetto, indicatori di valore progettuale come il tasso di rendimento, l’occupazione creata in fase di cantiere ed a regime, le interdipendenze settoriali. Nelle operazioni di consolidamento di iniziative (anche minute), si potrebbero eliminare numerosi interventi (soprattutto quelli di piccole dimensioni) che sembrano particolaristici. Nella pubblica amministrazione non mancano professionalità: un migliaio di funzionari e dirigenti sono stati formati in queste materie alla Scuola Nazionale d’Amministrazione (di cui circa duecento al Ministero dell’Economia e delle Finanze, dove è stato anche condotto un programma sperimentale di analisi di progetti in condizioni d’incertezza). È necessario documentare, come Il Commento Politico sostiene da tempo, quali sono i «parametri di valutazione» e quali i «criteri di scelta» in base ai quali si è giunti alla rosa di «progetti» presentati nel PNRR, nonché chi e come, a livello politico, abbia preso decisioni sui «parametri di valutazione» e sui «criteri di scelta» e chi ha fatto il lavoro tecnico.

Valutazione economica delle riforme. Non è sufficiente una dichiaratoria che le «riforme» proposte, anche quelle che più corrispondono al buon senso, contribuiscono ad aumenti di produttività e di valore aggiunto. Tanto più che – come già detto da Il Commento Politico - l’Ocse ha affinato da tempo un metodo per la loro valutazione economica e lo applica da tempo come si vede ad una lettura del saggio di Balázs Ègert The Quantification of Structural Reforms: Taking Stock of the Results for OECD and Non-OECD Countries nell’ultimo fascicolo (Dicembre 2020) dei Cesifo Working Papers.

Una domanda finale Perché non ci si è ispirati al PNRR francese che è stato presentato il 3 settembre scorso e che è disponibile on line?

Bagehot


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