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Governo Draghi e nuovi equilibri politici. 5) il Movimento Cinquestelle

A partire dal 9 marzo Il Commento Politico ha dedicato gran parte dei suoi editoriali ai mutamenti intervenuti nel quadro politico con la formazione di un governo come quello presieduto da Mario Draghi, la cui nascita ha da un lato posto fine alla maggioranza Pd, Cinquestelle, Leu e Italia Viva che aveva sorretto il governo Conte2 e dall’altro sancito l’esaurimento in questa legislatura di qualunque altra possibilità di costituire una maggioranza politica.

Il Presidente della Repubblica, a fronte di emergenze sanitarie, economiche e sociali che sconsigliavano il ricorso ad elezioni anticipate, ha chiamato la più autorevole riserva della Repubblica a costituire un esecutivo di salute pubblica che chiamasse a raccolta le principali forze politiche del Paese.

Questa decisione ha imposto un cambio di paradigma sia alle forze (Cinquestelle e Pd) che fino all’ultimo si erano prodigate per la continuazione del precedente governo, sia alle forze (Lega e Forza Italia) che fino a quel momento avevano reclamato il ricorso alle urne in caso di crisi.

Era inevitabile, come avevamo scritto il 5 marzo scorso, che la scossa si riverberasse su tutte le forze politiche e sui loro equilibri interni che si erano consolidati nella fase precedente.

Nei nostri editoriali del 9,13,19 e 26 marzo abbiamo commentato i sommovimenti che sono puntualmente intervenuti in Forza Italia, nella galassia delle forze liberal-democratiche, nella Lega e nel PD, ed abbiamo analizzato le prospettive e le difficoltà che si presentano davanti a questi partiti.

Per Forza Italia abbiamo rilevato l’importanza della ripresa dell’iniziativa politica collegata al tema del mantenimento del Paese in un sicuro quadro europeo, ma abbiamo osservato che alla sua dirigenza si pone già oggi e ancor più si porrà in futuro la necessità di scegliere - soprattutto in vista delle importanti elezioni amministrative del prossimo autunno, ma in prospettiva anche delle elezioni politiche - fra il mantenimento di un’alleanza con le altre forze della destra, che di fatto cancellerebbe il connotato europeista di Forza Italia, e un’iniziativa che la ponga fuori dallo schieramento di destra e la renda parte stabile e organica di una maggioranza von der Leyen.

Quanto alle forze cosiddette liberal-democratiche, abbiamo rilevato che la costituzione del Comitato Cottarelli rappresenta il tentativo di una più vigorosa convergenza tra queste forze, ma nello stesso tempo abbiamo fatto notare che di fronte alla elezione alla guida del PD di una personalità come quella di Enrico Letta viene largamente meno la posizione “terzista” che rifiuta un’alleanza a priori con uno dei due schieramenti. Letta rappresenta un rafforzamento dello schema bipolare, anche perché è evidente la propensione della nuova segreteria del PD verso un sistema elettorale di tipo maggioritario. Abbiamo anche notato che, a meno che l’indicazione di Cottarelli vada al di là della semplice elaborazione programmatica e investa invece la guida politica dell’area liberal-democratica, si pone in quest’area il problema della leadership politica.

Quanto alla Lega, la scelta di entrare in un esecutivo che ha nella matrice europeista e atlantica un connotato assolutamente predominante, se nell’immediato può aiutarla a non perdere la fisionomia di matura forza di governo, di cui essa ha assoluto bisogno specialmente presso l’elettorato del Nord del Paese, le crea d’altra parte serie difficoltà a trovare una conseguente collocazione in Europa. Come ancora oggi si vede leggendo dei contatti di Salvini con Orban e i polacchi per costituire un nuovo gruppo sovranista, se questa è la linea di Salvini, essa è destinata a entrare in un aperto conflitto con le posizioni di Giorgetti e probabilmente di Zaia e di molti altri esponenti della Lega.

Abbiamo commentato, infine, il cambio di segreteria del Pd con l’arrivo di Enrico Letta e l’enunciazione da parte di quest’ultimo di un progetto politico che prevede la costituzione di una doppia alleanza, cronologicamente scandita prima dalla creazione di un polo di centrosinistra (Pd, Leu, Calenda, Bonino, forse Renzi, movimenti espressi dalla società civile) che, in tal modo rafforzato, dovrebbe poi cercare un’utile convergenza con il Movimento Cinquestelle guidato da Giuseppe Conte.

Abbiamo lasciato per ultimi proprio i Cinquestelle perché anche in questo movimento/partito, che ancora rappresenta la maggioranza relativa dei parlamentari di questa legislatura, l’avvento di Draghi ha messo in moto un cambiamento significativo, che però non si è ancora definito compiutamente. Pensavamo quindi di poter giungere all’ultima tappa di questa rassegna con una situazione ormai definita da un punto di vista politico, programmatico e organizzativo. Invece non è così, segno questo di difficoltà perduranti e molto profonde.

Scrive oggi Stefano Folli su Repubblica che “verso i giochi di potere e di corrente nel Movimento Cinquestelle (i due mandati, la piattaforma di Casaleggio, le invettive di Grillo) è più che lecito mostrare disinteresse”.

Difficile dargli torto, soprattutto pensando al ritardo, a volte al limite del masochismo, con cui i grillini hanno lo scorso anno gestito la loro trasformazione in partito politico. I loro neverending Stati Generali sono stati una delle principali zavorre che hanno portato a fondo il governo guidato da un loro esponente. Stati Generali che, una volta confusamente conclusisi in dicembre con un cambio dello statuto che prevedeva la nascita di un Direttorio, sono stati sonoramente disattesi quando Grillo ha deciso di appoggiare il governo Draghi indicando una nuova fisionomia politica ed un nuovo tipo di leadership. Per il suo fondatore e garante il Movimento Cinquestelle dovrà essere un movimento di moderno ambientalismo (per la transizione ecologica e tecnologica) guidato da un unico leader nella persona di Conte.

Anche Folli, pur di malavoglia, sa che non può non scriverne, perché i Cinquestelle restano il partito di maggioranza relativa in Parlamento e potrebbero essere decisivi nelle cruciali scadenze politiche che attendono il Paese: conquista delle grandi città, elezione del prossimo Presidente della Repubblica e nuove elezioni politiche. Ma Conte tace, fa notare l’editorialista di Repubblica.

Tace, diciamo noi, perché, come altri osservatori rilevano, non ha ancora deciso la via da scegliere: dovrebbe comunicare i suoi intenti questa settimana o subito dopo Pasqua.

I Cinquestelle hanno sicuramente perso gran parte dei consensi conquistati nelle elezioni del 2018 ma ci sono tre cose che sicuramente li tengono insieme. La volontà di giungere alla fine naturale della legislatura per rinviare al massimo il salasso parlamentare che li attende, aggravato dalla riduzione del numero dei parlamentari. La necessità di partecipare da protagonisti all’elezione del nuovo Capo dello Stato per non ritrovarsi un Presidente poco propenso ad inserirli in nuove future combinazioni politiche. La preferenza per una legge elettorale di impianto proporzionale che confermi l’autonomia politica del movimento sia nel caso che tutti i partiti si presentino da soli, sia nel caso che ci siano le condizioni per partecipare a coalizioni elettorali.

Qui finiscono le convergenze ed iniziano i contrasti. Tra chi si è convertito alla democrazia rappresentativa e chi resta fedele alla piattaforma Rousseau (con Casaleggio e Di Battista). Tra chi appoggia convintamente il governo Draghi e chi è rimasto inconsolabile orfano del Conte due (e dei suoi ministeri). Tra chi è diventato autenticamente europeista e cerca un approdo tra i verdi o tra i socialisti europei e chi pensa ancora che il Recovery celi il vecchio viso dell’Europa matrigna di banchieri e tecnocrati. Tra chi vuole resti il limite dei due mandati e chi no (in entrambi casi per motivi di interesse generale).

È chiaro che il tentativo di Grillo di saltare a piè pari queste questioni di identità e di politica attraverso l’indicazione di un nome come quello di Conte, che è sembrato negli scorsi mesi l’unico collante del movimento dei Cinquestelle, è sostanzialmente fallito.

Grillo e Conte dovranno scegliere. Conte dovrà chiarire che partito intende guidare e dovrà anche definire una posizione rispetto al governo Draghi che, per lui personalmente, non sarà agevole.

Ma soprattutto Conte e Grillo dovranno risolvere la questione dei confini del movimento. Si sa che le stelle possono stare insieme in modo diverso.

Può darsi che essi riescano a costituire le condizioni perché i Cinquestelle restino una galassia e cioè un insieme di stelle con un unico centro. Una formazione plurale – ci sono galassie irregolari, a spirale, ellittiche – ma comunque unitaria.

Oppure essi non ci riusciranno, Conte e Di Maio faranno un altro partito e i Cinquestelle si trasformeranno in una nebulosa: una diecistelle, una quindicistelle, una ventistelle.

Vedremo. Il silenzio di Conte si capisce ma non può durare ancora per molto tempo.

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