Com’è noto da mesi Il Commento Politico batte su un tasto che ci è sempre sembrato dolente: come si pensa di affrontare efficacemente il tema delle strutture e delle procedure con cui allocare e gestire le risorse del Recovery Fund poi divenuto Next Generation UE?
Lo abbiamo fatto con insistenza ma crediamo anche con la misura e lo spirito costruttivo dovuto ad un governo alle prese con la più grande crisi intervenuta dal dopoguerra ad oggi. Sapevamo che l’emergenza economico - sanitaria, quella della prima ondata dell’epidemia, quella della seconda ondata e forse anche della terza se il vaccino non sarà a breve disponibile in misura adeguata, avrebbero impegnato gran parte delle energie dell’esecutivo. E anche perché eravamo consapevoli che l’arrivo di una così cospicua mole di risorse europee, soprattutto dopo tanti anni di cinghia stretta, avrebbe scatenato moltissimi appetiti: tra le forze politiche, tra le amministrazioni centrali e tra i vari livelli di governo, centrali, regionali e comunali.
Per questo, quando il presidente del Consiglio a fine luglio dichiarò che i suoi esperti avrebbero lavorato per tutto il mese d’agosto in modo da presentare in Europa il piano italiano ad ottobre, abbiamo manifestato uno scetticismo soft, consapevoli che le preoccupazioni per l’esito delle elezioni regionali di fine settembre avrebbe prevalso sulla messa a fuoco delle soluzioni da adottare per far ripartire lo sviluppo.
Altrettanto soft è stata la nostra delusione quando, in seguito alla riapertura prima delle discoteche e poi della scuola, l’emergenza sanitaria ha nuovamente prevalso su un’azione di governo che guardasse al più lungo periodo.
Abbiamo continuato a ripresentare la nostra proposta, rassicurati, almeno un po’, perché alcune difficoltà di accordo fra la Commissione e il Parlamento europeo prima e l’opposizione di Polonia e Ungheria poi, stavano riportando nei termini un’Italia in ritardo.
Ciò non toglie che il tempo non sia destinato a scadere. In Europa sono emerse alcune preoccupazioni sui possibili ritardi italiani e diversi organi di informazione ne hanno dato conto. Ci ha sorpreso, quindi, leggere le dichiarazioni del ministro per gli Affari europei Amendola, che ha bollato questo nuovo atteggiarsi di parte dei media e più in generale dell’opinione pubblica come fake news alimentate da ambienti che vogliono mettere in difficoltà il governo. Del resto ieri sera, nel corso del programma televisivo di Lilli Gruber, lo stesso presidente del Consiglio ha ammesso che vi è un certo ritardo nella preparazione del piano da parte dell’Italia, e dunque non si trattava di fake news.
I giornali di oggi sono pieni di perplessità provenienti da editorialisti non annoverabili certamente al campo dell’opposizione: Paolo Mieli, Stefano Folli, Lina Palmerini, solo per citarne alcuni.
Oltre a riconoscere il ritardo, Conte ha affermato che il piano italiano sarà pronto a febbraio. Ha rivendicato l’inserimento nella legge di bilancio di una norma che istituisce una sorta di cabina di regia per controllare tempi e modi di esecuzione dei progetti per l’impiego delle risorse europee. Ha forse fatto un anche un passettino in più, preannunciando la “creazione di una struttura operativa ad hoc con un profilo manageriale che garantisca il monitoraggio dei progetti e la verifica della loro attuazione”. E che “sarà una struttura condivisa presso Palazzo Chigi ma con il coordinamento di altri ministeri”.
Ora, a noi corre l’obbligo di essere chiari. Con garbo, ma chiari.
Fermo restando che alla politica spettano l’onore e l’onere delle scelte, riteniamo indispensabile che l’esecutivo porti all’approvazione del Parlamento una proposta di governance del piano italiano all’altezza delle aspettative che il Paese si attende.
Il Recovery è uno strumento eccezionale cui deve corrispondere la creazione di uno strumento eccezionale che, in qualità di unico destinatario delle risorse, concepisca e realizzi top down i progetti di investimento.
Cabine di regia poste in altra posizione nella filiera decisionale ed esecutiva sarebbero cabine affollatissime e senza regia.
Ci chiediamo se non sia il caso, conclusa una sessione di bilancio tutta destinata al “ristoro”, di immaginare a gennaio uno specifico momento parlamentare in cui definire gli strumenti e le normative più efficaci per la migliore utilizzazione dei fondi europei.
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