La discussione che si sta svolgendo sull’imminente elezione del Presidente della Repubblica a noi appare per molti aspetti surreale, nel senso che essa prescinde totalmente dai dati della realtà.
Si discute di varie ipotesi possibili nel caso che il Presidente del Consiglio venga eletto alla presidenza della Repubblica, pur sapendo che ciascuna di esse è di difficile attuazione e non può essere definita in anticipo. E, tuttavia, si fa finta che in un modo o nell’altro il problema avrà soluzione.
Si considera e si discute se convenga che partecipi alla corsa un candidato che non ha la garanzia nemmeno dei voti della propria parte politica e dovrebbe raccoglierne altri attraverso un’opera di sapore eccessivamente negoziale. E si fa finta che anche il solo sospetto di una cosa del genere – di cui invece si parla con leggerezza suprema – non getterebbe una luce sinistra sulle nostre istituzioni.
Si discute se il Presidente della Repubblica in carica, che ha più volte fatto intendere di preferire di non essere rieletto, possa “di fronte a un’evidente paralisi del Parlamento e dopo vari inutili tentativi” essere convinto altrimenti. Si tollera, cioè, che in una situazione come quella del Paese sia accettabile lo spettacolo di un Parlamento incapace di trovare per tempo una soluzione di tal tipo.
In altre parole, stiamo assistendo a una specie di danza (macabra) sull’orlo dell’abisso, che consiste nel non guardare in faccia la realtà in cui ci troviamo.
Qual è la realtà? 1) la pandemia in pieno corso. 200.000 contagi al giorno; gli ospedali che si vanno riempendo mentre l’estendersi dell’emergenza riduce anche il numero degli operatori sanitari che possono fronteggiare questa situazione. 2) un Paese che nel 2020 ha perso il 10 per cento del reddito e non ha ancora recuperato il terreno perso. Che dovrebbe recuperare quest’anno, salvo il nuovo aggravarsi della crisi per effetto della pandemia di cui ha parlato il Presidente del Consiglio due giorni fa in conferenza stampa. 3) la necessità di prendere decisioni tempestive di sostegno ai settori in difficoltà: 30 miliardi di euro, come ha proposto il ministro Giorgetti, o meno o più e a chi e per cosa? 4) L’inflazione che forse è davvero ripartita, come sembrerebbe dalla crescita dei prezzi americani. E se è ripartita, dobbiamo attenderci presto decisioni monetarie restrittive negli USA e poi in Europa, con conseguenze da fronteggiare in un Paese con il nostro debito pubblico. 5) Una situazione internazionale, in cui si parla del rischio di un conflitto armato in Europa, che non si vedeva da 70 anni.
Avendo davanti a sé questa lista di problemi, che cosa dovrebbe fare a proposito della scadenza della Presidenza della Repubblica una classe politica degna di questo nome? È ovvio che dovrebbe a tutti i costi salvaguardare il solo vantaggio che ha avuto in questi mesi. Quello di disporre di un governo sostenuto da tutte le forze politiche responsabili del Paese e affidato a una mano capace ed adeguata. Dovrebbe quindi considerare come primum indispensabile evitare di riaprire la questione del governo in una condizione internazionale e interna così pericolosa e incerta. Come si può pensare di costituire un nuovo governo altrettanto efficace di questo, a un anno dalle elezioni e quindi in situazioni che diventano obiettivamente più precarie? Nello stesso tempo, come si può evitare che, restando aperta la questione del Quirinale, qualcuno non pensi a Draghi come a una delle soluzioni possibili? Dunque bisogna evitare che il problema si ponga. Questa avrebbe già dovuto essere la risposta della classe politica. Questa è la risposta che deve scaturire immediatamente.
Non vogliamo ovviamente sostenere che siamo in una situazione di guerra, evenienza per la quale la Costituzione prevede il prolungamento della vita del Parlamento in carica. Ma siamo certamente in una situazione di grave emergenza non destinata a concludersi presto. E se così è, allora qualche indicazione si può trarre proprio dalla Costituzione, che in casi di stallo politico o istituzionale non esclude la possibilità di una prorogatio dei pubblici poteri. Non ci riferiamo a una legge per prolungare e rinviare la questione della Presidenza. Parliamo di una soluzione politica.
Si tratta di capire che l’elezione del nuovo Presidente non può non coinvolgere inevitabilmente la questione della tenuta del governo, che è una questione che non ci possiamo permettere di aprire.
Trovino le forze politiche la convergente consapevolezza che oggi è il momento di prolungare, di differire. E risolvano così la questione. Subito.
PS: Stamani Paolo Mieli sul Corriere della Sera sviluppa alcune considerazioni dalle quali è difficile dissentire. Egli dice che le macerie di una pasticciata corsa al Quirinale cadrebbero sul governo e lo danneggerebbero gravemente. Quello che Mieli non dice è che l'elezione di Draghi non farebbe ricadere delle macerie sul governo: lo travolgerebbe del tutto, senza alcuna idea di come ricostruirlo.
Ecco perché il suo articolo rafforza le nostre conclusioni.
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