Scrive oggi Fabio Tamburini, il direttore del Sole 24 Ore, che “l’errore più grande che le forze della maggioranza e dell’opposizione possono fare è recitare il teatrino della politica sul palcoscenico della crisi di governo accantonando la questione più importante di tutte: il Recovery Plan”. Poi aggiunge che la situazione giustifica forti preoccupazioni perché “la prima versione del piano è stata un disastro. Ma anche la seconda, quella poi approvata, è purtroppo deludente.”
Tre articoli, dell’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria, di Stefano Micossi e di Giorgio La Malfa, accompagnano in prima pagina l’articolo di Tamburini. Vale la pena di leggere in sequenza questi quattro interventi (riportati in calce) che pongono una questione cruciale da considerare in vista della soluzione della crisi di governo.
Giovanni Tria scrive che si ha l’impressione che l’attuale bozza del piano “descriva bisogni e non progetti…che l’allocazione delle risorse alle sei missioni previste dal piano non derivi da una stima di costi progettuali e da una selezione dei progetti in base al rendimento atteso. Conclude che “In sostanza il documento non adombra un piano di sviluppo.”
Nel suo articolo, Stefano Micossi, Direttore generale di Assonime, pur dando atto che la nuova bozza preparata dal ministro Gualtieri propone una migliore ripartizione dei fondi fra i vari ambiti possibili, osserva che “manca del tutto l’indicazione delle strutture e delle procedure di governo del PNRR” e fa riferimento alle due proposte specifiche che sono state avanzate: “che tale compito sia affidato a un’autorità separata, come proposto da Giorgio La Malfa e da Romano Prodi”; o che invece, come proposto da Assonime, venga nominato un ministro per il piano “che non può essere né il portavoce del premier, né una troika di ministri per garantire gli equilibri politici”. Micossi conclude che “i ministri e i loro partiti hanno ingaggiato un feroce combattimento per assicurarsi il controllo di parti più o meno cospicue dei fondi…Non sembrano avere capito, ancora, che sulla base dell’organizzazione attuale i soldi rischiano di non arrivare per niente.”
Giorgio La Malfa scrive senza mezzi termini che l’errore capitale del governo è stato quello di non definire fin dall’inizio le procedure per la formazione e per l’esecuzione del piano, di non avere definito cioè chi potesse presentare dei progetti, chi li avrebbe valutati, chi sarebbe stato chiamato a coordinarli e a realizzarli. Fa presente che il tempo perso è moltissimo e che, a poche settimane dal momento in cui l’Italia dovrà presentare il piano alla Commissione europea, di fatto non c’è nulla di definito. Dopo avere citato un giudizio durissimo della Frankfurter Allgemeine Zeitung sul piano predisposto dal governo Conte, conclude che “il Governo farebbe bene, comunque si esca dalla crisi in atto, a tornare sui suoi propri passi e a immaginare una soluzione che affidi il piano a una personalità internazionale rispettata estraniandosi dalla gestione operativa dei progetti. Potrebbe essere il colpo d’ala che solleva la crisi di Governo dalla palude delle recriminazioni e delle ripicche.”
Il Commento Politico è nato nel maggio scorso e, come i suoi lettori sanno, ha dedicato alla preparazione del Recovery Plan italiano un’attenzione costante. Ha subito sostenuto che se il governo non avesse adottato fin dall’inizio uno schema chiaro per la preparazione della governance del piano, cioè non avesse individuato un’autorità indipendente alla quale affidarne, sulla base di indirizzi politici generali, la confezione e la realizzazione, sarebbe stato travolto da due ordini di difficoltà: i contrasti politici sulla distribuzione di queste risorse; la molteplicità di richieste da parte degli enti pubblici, centrali e periferici che avrebbero presentato i propri piani.
La crisi di governo è anche il frutto dell’approssimazione con cui è stato impostato il problema. Se non si cambia registro, la vera crisi non sarà risolta.
Comments