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Da Varsavia a Roma

  • Il Commento Politico
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 2 min

Abbiamo letto sul Corriere della Sera di stamane che è in corso uno scontro al vertice in Polonia fra il Presidente del Consiglio Donald Tusk e il Presidente della Repubblica Karol Nawrocki. Ambedue rivendicano il diritto a rappresentare la Polonia nella riunione del G 20 che si riunirà a Miami nel 2026. È chiaro che la questione riguarda in questo il G20, ma può investire tutti i vertici internazionali e in particolare i vertici europei che, a differenza dei G 20, comportano in genere rilevanti effetti sulla politica interna dei Paesi membri. Ovviamente, la scelta circa la rappresentanza esterna di un Paese diviene particolarmente rivelante se, come nel caso polacco, il Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica sono portatori di posizioni politiche diverse.

Questa vicenda dice qualcosa di rilevante per l’Italia? Oggi è pacifico che sia il Presidente del Consiglio, come capo dell’esecutivo, a rappresentare l’Italia nei consessi europei e internazionali. È improbabile che oggi un Presidente della Repubblica voglia rivendicare il diritto di rappresentare l’Italia in un vertice europeo o internazionale. Se ciò avvenisse, ne deriverebbe una questione istituzionale che con ogni probabilità il governo riferirebbe alla Corte Costituzionale, aprendo un conflitto di competenza. E, quasi sicuramente, la Corte Costituzionale darebbe ragione al governo.

Supponiamo, però, che in futuro avvenga che Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica siano esponenti dello stesso partito politico e che quel partito abbia una dimensione nettamente superiore a quella degli eventuali alleati che con esso costituiscono la maggioranza parlamentare che sostiene il governo ed elegge il Presidente della Repubblica. Se quella maggioranza che esprime anche il governo eleggesse il Presidente della Repubblica nella persona del (o della) leader del partito di maggioranza relativa, potrebbe venire a determinarsi una situazione diversa. Potrebbe avvenire, infatti, che il (o la) Presidente della Repubblica rivendichi per sé la rappresentanza dell’Italia nei consessi europei e internazionali e non è detto che il governo, affidato per definizione a una figura di minore envergure, aprirebbe un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.

Verrebbero proposte ampie giustificazioni per questo trasferimento di competenze. In particolare si direbbe che, dovendo avere a che fare con grandi personalità alla guida dei rispettivi Paesi, alcuni dei quali Presidenti della Repubblica, come per gli Stati Uniti o per la Francia, per l’Italia non sarebbe sbagliato affidarsi, a parità di orientamento politico, alla figura più forte e carismatica di cui quella maggioranza dispone. Se la Corte Costituzionale non fosse investita della questione, il trasferimento potrebbe avvenire pacificamente.

Quali le implicazioni? Semplicemente si sarebbe così fatta la riforma costituzionale in senso presidenziale, auspicata da sempre dalle destre, senza bisogno di una revisione costituzionale con i rischi di un esito referendario che non può mai essere considerato scontato. Forse questo può contribuire a spiegare l’altrimenti incomprensibile decisione dell’attuale maggioranza di rinunciare alla riforma della Costituzione italiana in senso presidenziale per virare sulla pasticciata e insignificante riforma dell’elezione del Presidente del Consiglio. Che fungerebbe da specchietto per le allodole e da giustificazione per una versione aggiornata della legge Acerbo.

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