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Il nodo della crisi politica

Le crisi di governo possono avere una soluzione solida e duratura solo se si individuano e si affrontano i nodi di fondo che le hanno determinate. Naturalmente, può risultare impossibile sciogliere quei nodi ed allora non resta che il ricorso ad elezioni anticipate.

L’attuale Parlamento non ha alcun desiderio di essere sciolto, sia per le emergenze che affliggono il Paese - sanitaria ed economica - sia perché la riforma sul taglio del numero dei parlamentari rende incerto il destino di molti di loro. È quindi indispensabile andare al fondo del problema politico che ha originato la crisi e trovare la strada migliore per affrontarlo e risolverlo.

La crisi è nata su un tema ben preciso: il Recovery Fund. Già ai primi di dicembre era chiaro che sul tema dell’allocazione dei fondi europei si addensavano nubi, sia all’interno del governo sia provenienti da Bruxelles.

Le forze politiche di maggioranza avevano per mesi rinviato il problema, studiandosi l’un l’altra, per assicurarsi ciascuna la miglior posizione. Quando poi il presidente del Consiglio, incautamente, ha avanzato una proposta di piano e di relativa governance non concordate, si è determinata una fibrillazione politica generale conclusasi con l’uscita di Italia Viva dalla maggioranza. L’insoddisfazione, però, non era solo di Italia Viva. La gestione autoreferenziale della preparazione del piano, infatti, è stata subito considerata con sospetto anche dagli altri partners della maggioranza. Tuttavia non è solo il contezioso tra i partiti ad aver generato l’attuale pantano politico. Ad esso vanno aggiunte le sempre maggiori perplessità europee sull’approccio dell’Italia al Recovery Fund. Molte voci, a partire da quella del Commissario Gentiloni, si sono levate da Bruxelles per ricordare al governo e alla maggioranza che il conferimento dei fondi è legato ad una gestione finalizzata alla migliore utilizzazione, da non risolvere in una pura spartizione politica. Le preoccupazioni europee sono cresciute ancora di più quando, ai primi di gennaio, la prima formulazione del piano è stata radicalmente cambiata – un segno, questo, che la prima stesura era apparsa largamente insoddisfacente agli stessi esponenti del governo. Nello stesso tempo, a conferma di un completo disaccordo sull’impostazione del piano, la nuova bozza confermava che la questione della governance andava definita ex novo. Era la prova che i contrasti politici non vertevano su contenuti del piano da approfondire ma dipendevano da una lotta politica per la spartizione delle risorse.

Questo è il vero nodo della crisi, non sciogliendo il quale non si esce dall’impasse.

Il Commento Politico sostiene da mesi che il modo con cui il governo stava affrontando il tema del Recovery si sarebbe trasformato in un terreno di battaglia. E cioè in una mischia resa ancor più confusa dalla decisione di far partecipare alle scelte sui fondi tutte le amministrazioni pubbliche: centrali, regionali e locali. Amministrazioni da decenni soggette alla lesina imposta dai criteri di Maastricht ed improvvisamente chiamate ad un pranzo di gala.

L’idea, infine, di restringere nel solo ambito di maggioranza scelte strategiche destinate ad essere realizzate in un arco di tempo che va al di là della legislatura in corso, ha reso impossibile il determinarsi di quella concordia discors con le forze di opposizione, da tutti a parole auspicata.

Oggi un attento osservatore come Stefano Folli, scrive su Repubblica che le forze politiche hanno l’occasione di cogliere l’opportunità offerta da un gigantesco piano europeo di prestiti ed aiuti. Ed aggiunge che sarebbe necessario “un accordo per delegare ad un’autorità di prestigio e politicamente neutra la gestione del Recovery: un modo per offrire una garanzia anche al centrodestra”.

È esattamente ciò che Il Commento Politico propone da mesi. Il nodo politico della crisi è il Recovery Fund.

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