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Il timone della crisi

La politica non ha più molto tempo davanti a sé per assumere le decisioni indispensabili per mettere fine ad una fase di fibrillazione durata già troppo a lungo.

Lo ha ricordato a tutti il Presidente della Repubblica, sia nei suoi interventi formali sia per aver considerato l’incontro con il premier alla fine del dibattito e delle votazioni parlamentari un incontro interlocutorio e di cortesia.

Oggi tutti gli organi di stampa riportano le preoccupazioni di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, circa la condizione di stallo in cui versa il piano italiano di utilizzazione del Recovery fund. Le dichiarazioni della signora Lagarde si aggiungono a quelle del medesimo tenore rilasciate negli ultimi tempi dal commissario europeo Gentiloni e dalla presidente della Commissione europea von der Leyen. Soprattutto sulla stampa tedesca comincia, infine, ad emergere un certo pessimismo sulla capacità dell’Italia di utilizzare bene le risorse che arriveranno dall’Europa.

Il governo è atteso, a cominciare dalla prossima settimana con le votazioni sulla relazione sulla giustizia presentata dal ministro Bonafede, da una serie di appuntamenti che potrebbero evidenziarne tutta la sua attuale fragilità.

A noi sembra che si stiano delineando due scenari, fra loro molto diversi, per uscire da questa intricata situazione.

Nel primo scenario sarà il presidente del Consiglio a restare, come è stato finora, il dominus della crisi. Giuseppe Conte avrebbe in tal caso davanti a sé due strade. Potrebbe proseguire nella linea fin qui prescelta, che è quella di cercare di ottenere un allargamento della maggioranza con l’arrivo di esuli provenienti da altre formazioni politiche. Questo approccio sembra oggi più arduo dopo le vicende giudiziarie che hanno interessato il segretario dell’Udc, cioè di una delle forze su cui maggiormente si appuntavano le speranze di sostegno. Oppure il presidente del Consiglio potrebbe decidere di intestare formalmente a sé stesso la nascita di gruppi parlamentari che andrebbero a costituire, in quanto “contiani”, la quarta gamba della nuova maggioranza.

Il secondo scenario prevede, invece, che il pallino della crisi passi nelle mani del Pd e dei Cinquestelle e cioè dei due principali azionisti della maggioranza. Anche in questo caso davanti ai leaders della maggioranza si aprirebbero due strade. La prima è quella della ricostituzione della maggioranza appena dissoltasi, con l’azzeramento dello scontro intervenuto fra Conte e Renzi e il rientro di Italia Viva. La seconda è quella di dare effettivamente vita ad una maggioranza von der Leyen “italiana”, con la costituzione di una Grosse koalition di cui dovrebbero far parte tutte le forze politiche italiane collocate nel solco delle tradizioni socialiste, verdi, liberaldemocratiche e popolari. Una formula di questo tipo potrebbe contare su una maggioranza di circa 400 deputati alla Camera e di oltre 180 al Senato.

Vedremo quali saranno i protagonisti che avranno la forza di far uscire il Paese da una impasse così pericolosa. Certo è che non si tratta di ipotesi che possano essere sperimentate in sequenza. Il tempo a disposizione si è quasi esaurito e non c’è spazio per altri sbagli.

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