Abbiamo intitolato un nostro editoriale di qualche giorno fa “L’ Italia rimandata a settembre”. Esso nasceva dalla considerazione realistica che i governi si reggono su maggioranze parlamentari che non sempre godono della necessaria compattezza ed unità di intenti. Era una constatazione, non una critica.
Il governo, dopo essersi abilmente destreggiato nella prima fase del negoziato europeo conclusasi con la innovativa proposta franco - tedesca del Recovery Fund, aveva portato a casa la prospettiva di consistenti aiuti da parte della UE. La quantità e le modalità di erogazione di queste risorse, assolutamente indispensabili per la ripartenza del Paese, restavano e restano però ancora sub iudice e non saranno definite prima della fine di luglio. Nel migliore dei mondi possibili si poteva sperare che l’intervento della presidente Von der Leyen in apertura degli Stati Generali dell’economia, volto a spronare l’Italia affinché apprestasse al più presto un convincente “piano di accoglienza” dei fondi europei, venisse recepito senza indugio. Sarebbe stata la risposta più adeguata anche per concludere al meglio una trattativa comunitaria che registra ancora molte resistenze da parte dei cosiddetti Paesi frugali.
E tuttavia, preparare un piano implica a sua volta sapere su quante risorse si può contare e poiché quelle provenienti dal Recovery Fund difficilmente potranno arrivare, se non in minima parte, nell’anno in corso, occorrerà far fronte alle esigenze di ripresa economica con un ulteriore scostamento di bilancio e con l’utilizzazione di uno strumento come il Mes, su cui la maggioranza è divisa e potrà dare il via libera solo se verrà presentato all’interno di un più ampio e complessivo pacchetto di misure.
Tutto rimandato a settembre, dunque. Restavano i mesi di luglio e di agosto. Una via percorribile poteva essere quella di seguire le indicazioni del Governatore della Banca d’Italia e concentrarsi, fin da ora, sugli investimenti prioritari da mettere in campo. Sarebbe stata probabilmente la via maestra, ma anche la più rischiosa per una coalizione caratterizzata da troppe anime spesso difficili da amalgamare. Sarebbe stata, cioè, una soluzione coraggiosa ma non esente da rischi, e che avrebbe reso necessario apprestare qualche strumento per limitare i danni in caso di incidenti.
Dal momento che gli Stati Generali dell’economia non hanno costituito la sede in cui discutere un piano di azione con le parti sociali e le categorie, tutti i protagonisti delle giornate di Villa Pamphili hanno concentrato i loro interventi sulle gravi condizioni del proprio settore e in particolare sulle ulteriori difficoltà in cui il Paese si troverà alla fine dell’estate. Dunque, l’attenzione sul piano è scivolata definitivamente via e si è concentrata sugli interventi in deficit a sostegno dei settori colpiti.
La politica si è quindi trovata di fronte ad un nuovo bivio, e cioè come affrontare una situazione che potrebbe rivelarsi drammatica fino a mettere a rischio le stesse sorti del governo. Chiuso un problema se ne è aperto un altro.
Non appena qualcuno ha accennato all’unico paracadute possibile, e cioè l’accelerazione dell’esame della nuova legge proporzionale contenuta negli accordi di governo, che giace in commissione alla Camera, si è aperto un durissimo scontro all’interno della maggioranza.
Non tutti condividono, infatti, un impianto che preveda soglie di sbarramento troppo elevate, senza considerare che da sempre l’introduzione di una nuova legge elettorale prelude alla caduta del governo ed alla fine della legislatura.
In pochi giorni si sono aperte nuove improvvise faglie tra i partiti della coalizione e all’interno di essi. Nei Cinquestelle è ricomparso il movimentismo di Di Battista e nel Pd qualcuno ha iniziato a mettere in discussione la segreteria di Zingaretti. La stessa possibilità di vittoria di Emiliano nelle prossime elezioni regionali pugliesi è oggi molto più incerta se risultasse confermata la volontà di presentarsi insieme, ed autonomamente, da parte di forze come Italia Viva , Azione e Più Europa, fin qui fortemente in polemica tra loro.
Anche l’attenzione del governo sembra essersi rapidamente spostata dagli investimenti da programmare ai consumi da far ripartire, adombrando la possibilità di finanziare in deficit fino alla fine dell’anno le misure per cassa integrazione e prestiti alle imprese e, da ultimo, introducendo improvvisamente la possibilità di un abbassamento dell’Iva.
Emerge – e forse non poteva che essere cosi – la vera base, il vero collante dell’accordo di governo: completare la legislatura ed attribuire a questo Parlamento il compito di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.
Italia rimandata non più solo a settembre, ma oltre. È una constatazione.
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