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La Resistenza tra coincidenze e storie familiari

De minimis curat praetor

Non potendo vantare “quarti di nobilità”, la tradizione orale della mia famiglia ha riguardato sino a qualche tempo fa persone e avvenimenti che non avevano fatto “Storia”, né potevano suscitare particolare interesse o orgoglio.

Casualmente, alcuni mesi or sono, scopro attraverso alcuni passi di un libro (“Bandiera Rossa nella resistenza romana”) di Silverio Corvisieri, già parlamentare prima di Democrazia Proletaria e poi del PCI, le gesta di un cugino di mio padre – Eusebio Troiani – trucidato alle Fosse Ardeatine: una scoperta davvero sorprendente visto quanto avevo appreso su di lui sino a quel momento.

Da giovane, infatti, dopo una mia visita alle Fosse Ardeatine con la scuola, mio padre – chissà poi perché? – mi dette notizie rivelatesi poi del tutto infondate dicendo che Eusebio era stato Corazziere del Re ma, scoperte le sue simpatie antifasciste, fu portato a Regina Coeli e casualmente scelto nella lista dei 335 delle Fosse Ardeatine.

Non di meno da parte degli zii paterni che preferivano narrare le gesta del padre di Eusebio, tal Settimio, mentre dicevano del primo che era stato particolarmente sfortunato, in quanto incappato – all’indomani dell’attentato di via Rasella – in una retata al quartiere Esquilino di Roma.

Eusebio non ebbe quindi grande cittadinanza nelle storie familiari, finendo presto nel mio dimenticatoio.

Non poca fatica ho dovuto poi fare per convincere della vera storia di Eusebio Troiani – e non credo di esserci riuscito – un mio cugino, generale dell’Esercito in pensione, oggi apprezzato apicoltore, con la passione delle ricerche storiche soprattutto familiari.

Ma insieme ai piccoli, grandi misteri familiari, documentandomi su Eusebio Troiani, scopro una serie di varie coincidenze che mi inducono a scrivere il presente MEMORABILIA che, al contrario dei precedenti, non tratta – fatta salva la figura di Rosario “Sasà” Bentivegna - persone e fatti di una certa notorietà.

Ma forse vale la pena raccontare, perché come canta De Gregori “La storia siamo noi”: la “Storia” non la fanno infatti solo gli eroi e i protagonisti giustamente famosi, la fanno in silenzio, trascurate e misconosciute, anche le persone comuni, se non umili e modeste.

Così, vestendo abusivamente i panni del “praetor”, oggi voglio curare “de minimis”, scattando idealmente alcune foto su personaggi che direttamente e indirettamente rientrano nella storia di Eusebio Troiani.


Eusebio Troiani

Come riporta la scheda a lui dedicata alle Fosse Ardeatine dove occupa il sacello 164 , Eusebio nasce a Pescia di Norcia il 26 settembre 1893. Il 9 dicembre 1916 nasce sempre a Pescia di Norcia un suo cugino, Luigi Troiani: mio padre.


Eusebio Troiani


Pescia di Norcia è un piccolo paese posto tra le montagne, ad oltre 1.000 metri slm, oggi al confine di quattro Regioni (Umbria, Lazio, Abruzzo e Marche) e per molto tempo a guardia del confine fra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie.

La bellezza della natura circostante mal si concilia con l’aridità delle risorse che poteva offrire sia per l’agricoltura che per l’allevamento e così anche per l’isolamento dai centri circostanti, da sempre Pescia di Norcia ha contribuito all’emigrazione, soprattutto verso Roma. Oggi vi risiede stabilmente solo un’anziana coppia di inglesi, attratta dalla bellezza del posto e dalla solitudine.

Eusebio partecipa alla Campagna di Libia come sottoufficiale di artiglieria per poi trasferirsi a Roma dove si sposa ed entra nel Movimento Comunista d’Italia (MCd’I), formazione clandestina discendente da “Scintilla” e costituitosi dopo l’8 settembre 1943, conosciuto anche come "Bandiera Rossa" dalla testata che ha editato per qualche tempo.

Per conoscere la storia del Movimento Comunista d’Italia si possono consultare alcuni libri come quello di Silverio Corvisieri (Bandiera Rossa nella resistenza romana) e di Gloria Chilanti (Bandiera Rossa e borsa nera) figlia di Felice Chilanti, uno dei dirigenti del Movimento, tratto dal diario che Gloria teneva giovanissima durante la guerra.

Il MCd’I, che riunì vari gruppi comunisti che non aderivano al PCI contestandone la linea politica e la poca democrazia interna, si rifaceva essenzialmente alle istanze trotskyste e non aderì al CLN – Comitato di Liberazione Nazionale.

I dirigenti del PCI bollarono il MCd’I di infantilismo, estremismo se non addirittura di collusione con i nazi-fascisti, soffrendo non poco il forte radicamento del Movimento a Roma ma anche nelle provincie laziali.

A Roma, al contrario dei gruppi comunisti aderenti al PCI composti essenzialmente da intellettuali e studenti come Antonello Trombadori, Pietro Ingrao, Aldo Natoli, Lucio Lombardo Radice, il MCd’I annoverava fra i propri aderenti operai, artigiani, disoccupati, specie nelle borgate e nei quartieri periferici della città.

Su circa 6500 partigiani censiti a Roma nel periodo dell’occupazione nazi-fascista, oltre la metà erano aderenti al Movimento Comunista d’Italia e su 335 trucidati alle Fosse Ardeatine, ben 52 erano del MCd’I.

La città di Roma, durante l’occupazione nazi-fascista, venne divisa in 6 zone partigiane dove convivevano gruppi distinti del MCd’I e del CLN con pochi reciproci contatti: a capo della 3° zona il MCd’I mise Eusebio Troiani, che insieme al suo gruppo si distinse per una serie di attentati nei confronti degli occupanti nazi-fascisti ed in particolare per il sabotaggio al settore strategico delle linee telefoniche.

Alla vigilia dell’attentato dei GAP (Gruppi di azione patriottica) in via Rasella il 23 marzo 1944, Eusebio Troiani si apprestava, in previsione di un assalto al carcere di Regina Coeli per liberare alcuni compagni, a sabotare la centrale telefonica posta nei pressi del Collegio Pontificio Russicum su via Carlo Alberto, non distante dalla Basilica di Santa Maria Maggiore, quando venne catturato dalla famigerata Banda Koch e, durante la colluttazione che ne seguì, riuscì a disfarsi di un taccuino ove erano registrati i nomi dei compagni del gruppo che comandava.

Portato nella vicina Pensione Oltremare in via Principe Amedeo 2, dove la Banda Koch era solita torturare quanti venivano catturati, Eusebio Troiani resistette a tutte le torture senza fare nessun nome e quindi portato esanime a Regina Coeli, dove nel frattempo i nazi-fascisti radunavano i 335 sventurati destinati alle Fosse Ardeatine.

Tali e tante erano state le torture subite che, dopo l’arrivo degli alleati il 4 giugno 1944 e la riesumazione dei corpi dalle Fosse Ardeatine, il riconoscimento della salma di Eusebio Troiani fu alquanto difficile.

L’ANPI Esquilino ricorda alcuni passi del diario di Gloria Chilanti con l’angoscia della moglie di Eusebio, mentre il sito “Il cielo sopra sopra l’Esquilino” riporta le targhe commemorative dei partigiani del quartiere caduti durante la Resistenza, tra le quali quella dedicata a Eusebio Troiani in via Foscolo 24 dove al quarto piano abitava con la moglie.




Settimio Troiani

Tutta un’altra storia da quella raccontatami da mio padre e dagli zii i quali però mi raccontarono cosa accadde a Settimio, padre di Eusebio, qualche settimana dopo l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Il totale isolamento con una sola impervia strada d’accesso al paese e soprattutto le montagne circostanti ricche di boschi e fonti, le cui cime superano i duemila metri, facevano di Pescia di Norcia il luogo ideale per nascondere durante l’ultima guerra renitenti alla leva, partigiani, prigionieri alleati fuggiti dai vicini campi di prigionia ma anche disertori tedeschi che intendevano tornare a casa in Germania.

Un giorno a Pescia di Norcia arriva non senza difficoltà una Compagnia dell’esercito tedesco comandata da un capitano con accanto un interprete, in cerca dei renitenti alla leva e dei partigiani.

Il capitano tedesco fece radunare con toni spicci e perentori tutti gli abitanti del paesino al centro della piazza, proprio di fronte alla chiesa, con la soldataglia che non esitava a spingere e picchiare i malcapitati fuori dalle proprie case.

Settimio, già ultraottantenne con molti acciacchi e con il dolore di un padre che ha conosciuto la fine del figlio, si trascinava lentamente appoggiandosi ad un bastone verso il gruppo dei compaesani che con le mani in alto aspettavano gli ordini del capitano il quale, vedendo la lentezza di Settimio gli urlò “Schnell…..schnell”.

Settimio non si fermò alla fila dei compaesani ma arrivò di fronte al capitano ed alzandogli davanti agli occhi il bastone gridò “Mi avete già ucciso un figlio, se mi uccidete mi fate solo un favore!”

Il capitano tedesco, fattosi tradurre dall’interprete le parole e la storia di Settimio che gli manteneva il bastone dritto di fronte agli occhi, disse in tedesco “Non si preoccupi, Herr Troiani, ce ne andiamo via subito” ed urlato qualche ordine, la Compagnia riprese la strada verso Norcia.


I ringraziamenti del Gen. Alexander

Durante la guerra, la grande casa dei miei nonni paterni a Pescia di Norcia, ospitava nelle stalle di fronte al torrente i prigionieri alleati, soprattutto inglesi, che fuggiti dal campo di prigionia di Foligno cercavano di ricongiungersi alle truppe alleate a sud, ma anche disertori tedeschi che da sud cercavano di tornare in Germania, consapevoli dell’imminente sconfitta.

Di giorno ognuno rimaneva nascosto nella propria stalla in attesa del cibo che veniva offerto loro dai miei nonni e zii; di notte si affacciavano sull’uscio della propria stalla per fumare qualche sigaretta e tentare a gesti di comunicare l’uno con l’altro.

Ma anche durante l’avanzata degli alleati verso nord, i miei nonni aiutarono e rifocillarono i soldati alleati e così il Gen. Alexander inviò a mio nonno Cesare un attestato di ringraziamento.




Rosario “Sasà” Bentivegna

Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare Rosario “Sasà” Bentivegna, il gappista che travestito da spazzino il 23 marzo 1944 accese la miccia della bomba che in via Rasella a Roma causò la morte di trentatre soldati tedeschi di ritorno dalla quotidiana esercitazione.

La vita di Sasà Bentivegna sembra scritta da un autore di un film d’azione, un vero e proprio romanzo.

Nato a Roma nel giugno 1922 da famiglia di origine siciliana che annoverava ardenti protagonisti repubblicani del Risorgimento ed anche un assessore della Giunta Nathan a Roma, dopo il bombardamento del luglio 1943 a San Lorenzo decise di lasciare gli studi universitari di Medicina e di entrare nella Resistenza con il nome di battaglia “Paolo”, nei GAP- Gruppi di Azione Patriottica coordinati a Roma da Giorgio Amendola dove conobbe Carla Capponi, poi deputata PCI. La sposò nel 1946, con lei compì molte audaci azioni contro i nazi-fascisti ed ebbe una figlia che prese il nome di battaglia della madre: Elena.


Carla Capponi e Rosario “Sasà” Bentivegna


Sasà e Carla, entrati nella Resistenza armata poco più che ventenni, lasciando la “comfort zone” di famiglie alto borghesi, si resero protagonisti di azioni contro i nazi-fascisti dimostrando un eccezionale coraggio.

L’attentato di via Rasella, deciso da Giorgio Amendola ed approvato per il CLN da Riccardo Bauer per il Partito d’Azione e da Sandro Pertini per il PSI, riconosciuto dai Tribunali italiani come legittimo atto di guerra contro le truppe occupanti, fu sicuramente la più grande e tragicamente famosa azione dei GAP romani, ma non l’unica.

Laureatosi dopo la fine della guerra e specializzandosi in Medicina del lavoro, Sasà Bentivegna subì dagli ambienti di destra ma anche dal Vaticano di Pio XII – come ebbe a dirmi - una vera e propria persecuzione, accusato ingiustamente di non essersi costituito dopo l’attentato di via Rasella per evitare l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

In realtà si conobbe l’avvenuta strage il giorno dopo l’eccidio delle Fosse Ardeatine attraverso un comunicato del comando nazi-fascista. A tal proposito Bentivegna intentò varie querele contro i giornali di destra da cui ricavò non pochi risarcimenti. Memorabile fu la polemica con Bruno Vespa da cui Sasà trasse un libro in cui dimostrava ampiamente quanto fossero infondate le notizie propalate dal famoso e controverso giornalista.

Ho conosciuto Sasà a metà degli anni novanta quando iniziò la sua collaborazione con il Patronato della CNA ed in particolare con l’Ufficio Infortuni diretto da Valeria Rendina, essendo lui un apprezzato medico del lavoro.

Ho passato con Sasà Bentivegna molte ore a parlare della sua avventurosa vita, della Resistenza ma anche a discutere di molto altro, come il libro “Il secolo breve” di Eric Hobsbawm pubblicato proprio in quegli anni, della situazione politica (era un grande estimatore di Ugo La Malfa e del PRI, annoverando fra gli antenati alcuni repubblicani) e delle tante disavventure cui dovette far fronte per difendere il suo operato da partigiano.

Discorsi che spesso avvenivano a pranzo o a cena, in particolare in un ristorante di via Palestro, dove dimostrava di possedere un vasto bagaglio culturale ed anche un innato “sense of humor”.


Rosario “Sasà” Bentivegna



Sasà mi regalò, con dedica, i libri che aveva scritto e che ho letto più volte.



La presentazione del suo ultimo libro (“Senza fare di necessità virtù”), a dicembre 2011 nella storica sezione di Ponte Milvio dove era stato iscritto Enrico Berlinguer, fu l’occasione per incontrarlo per l’ultima volta.

Era reduce da qualche malanno ed incontrandolo gli dissi: “Ma come, Sasà, Eric Priebke (uno degli aguzzini delle Fosse Ardeatine in quegli anni sotto processo a Roma) che ha qualche anno più di te, gode ottima salute e tu ti ammali, ma che figura ci fai fare” .

E lui di rimando con una delle sue battute mi rispose “Ahò, ma quello appartiene alla razza superiore, non ti ricordi?” e giù una fragorosa risata delle sue.

Concordammo di organizzare nei mesi successivi anche a Trevignano Romano la presentazione del suo ultimo libro, presentazione che non avvenne mai: la mattina del 2 aprile 2012, vedendo distrattamente il telegiornale lessi nel “sottopancia” la notizia della sua scomparsa. Due mesi più tardi avrebbe compiuto 90 anni.

Anche dopo la morte, Sasà, insieme alla moglie Carla Capponi, non ebbe pace. La figlia Elena, poi scomparsa nel 2015, non riuscì a seppellire le ceneri dei suoi genitori nel Cimitero Acattolico di Roma dove, durante la Resistenza si incontravano di nascosto, per il divieto inspiegabile opposto dall’Ambasciatrice del Sud Africa che temporaneamente svolgeva funzioni di direzione di quel cimitero. Le ceneri furono così disperse nel Tevere.

Dai racconti di Sasà Bentivegna e leggendo i suoi libri seppi del Movimento Comunista d’Italia e di Bandiera Rossa, ma non parlai mai con lui di Eusebio Troiani anche perché il suo ricordo, stante i racconti di famiglia, era stato ben catalogato fra i files mentali non importanti. Forse Sasà lo aveva conosciuto o ne aveva sentito parlare.

Solo qualche mese fa, leggendo su Internet alcuni stralci del libro di Silverio Corvisieri che parlavano di Bandiera Rossa mi ritornarono alla mente i racconti di Sasà Bentivegna ed approfondendo venni a conoscenza della vera storia di Eusebio Troiani.

Mi piace pensare che sia stato lo stesso Sasà Bentivegna ad attirare la mia attenzione sul libro di Corvisieri.

Una incredibile coincidenza: ho avuto l’onore e il piacere di conoscere Sasà Bentivegna protagonista dell’attentato di via Rasella da cui discende l’eccidio delle Fosse Ardeatine dove trovò la morte, dopo inaudite torture, anche Eusebio Troiani.

Ma un’altra coincidenza si è verificata a marzo scorso, quando pubblicai su Facebook nell’anniversario delle Fosse Ardeatine un post commemorativo di Eusebio Troiani e di Sasà Bentivegna commentato da Elio Gentilini, un caro amico ultranovantenne che, appena adolescente, faceva la staffetta partigiana (ma nel gruppo PCI) nella stessa 3° Zona di Roma dove per il MCd’I era responsabile Eusebio Troiani.

Elio Gentilini e sua moglie Marcella sono stati amici di Carla Capponi ed insieme partecipammo alla sezione di Ponte Milvio alla presentazione del libro di Sasà Bentivegna.

Un insieme di coincidenze che mi hanno permesso di appurare la vera storia di Eusebio Troiani, la sua parte attiva nella Resistenza ed il suo eroismo, con buona pace dell’incipit di questo MEMORABILIA: “la tradizione orale della mia famiglia ha riguardato persone e avvenimenti che non avevano fatto “Storia”, né potevano suscitare particolare interesse o orgoglio.”

E quindi il pensiero non può che volare alle parole della canzone di De Gregori.


La storia siamo noi

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso, siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo. La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso. La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da raccontare. E poi ti dicono "Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera". Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera. Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,

la storia entra dentro le stanze, le brucia, la storia dà torto e dà ragione. La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere.


Maurizio Troiani


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