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Le condizioni impossibili della Direzione del PD

In apparenza,  la Direzione Nazionale del PD, nella sua riunione di ieri,  ha  scelto il sì nel referendum sul taglio delle rappresentanze parlamentari. Questo è stato l’orientamento annunciato dal segretario nazionale e posto al voto in un odg conclusivo della Direzione. Ma in realtà la posizione del Partito Democratico è molto più articolata e lascia ampio spazio a un voto per il NO preannunciato peraltro da molti dei maggiori esponenti del partito.

C’è, in primo luogo, il fatto significativo  che il tema del referendum ha fatto parte di un odg diverso da quello con il quale la Direzione è stata chiamata a un giudizio sulla relazione del segretario. Dunque, possono fare  parte della maggioranza che sorregge  la segreteria del PD sia quelli che intendono votare sì sia quelli che hanno annunciato il loro orientamento contrario. Può apparire una soluzione bizantina, ma la sostanza è che la Direzione Nazionale del PD ha lasciato liberi i militanti di votare come essi credono. È una scelta realistica anche perché i dubbi fra gli elettori del PD rispetto alla proposta dei 5 Stelle fatta trangugiare prima alla Lega e poi al PD,  che aveva votato per tre volte contro la riforma, sono vasti e soprattutto crescenti. 

Ma vi è di più e questo di più riguarda le condizioni che ad avviso del PD dovrebbero accompagnare (o precedere) il taglio del numero dei parlamentari. Per stemperare la logica intollerabile per un partito democratico dell’originaria proposta dei 5 stelle, che concepiva  il taglio dei parlamentari come una misura di lotta contro la casta, un modo per risparmiare sui costi della politica e un passo verso una democrazia referendaria in cui il Parlamento fosse solo il portavoce delle decisioni popolari,  i sostenitori del sì ne hanno sempre parlato come di un provvedimento che andava collocato in un quadro più ampio che comprendeva  una legge di revisione costituzionale che modificasse la composizione del collegio per l’elezione del Presidente della Repubblica, una riforma dei regolamenti parlamentari per riorganizzare il lavoro delle Camere alla luce della forte riduzione del numero dei loro  componenti  e infine una legge elettorale di impianto proporzionale per correggere le evidenti storture cui da luogo il taglio previsto dalla normativa  approvata dalle Camere.  

Questa è stata la posizione tenuta dal PD e ribadita molte volte, anche in termini ultimativi dal segretario Zingaretti. Poiché queste modifiche, discusse e concordate con i 5 stelle fin dall’autunno del 2019, a un anno di distanza sono del tutto ferme, è chiaro che per il PD è venuta meno una condizione fondamentale per il sì. Se la questione non viene posta esplicitamente è solo perché vi è di mezzo la stabilità di un governo chiamato ad affrontare le emergenze della sanità e dell’economia. E dunque un governo per certi aspetti di necessità. Ma chi ha preso sul serio le condizioni di contorno alla riforma del taglio dei parlamentari non può non valutare che quelle condizioni di contorno non ci sono e difficilmente vi saranno nella loro integrità. Può quindi valutare legittimamente che non sussiste più l’impegno al sì contratto all’atto della formazione del Governo. 

Ieri la Direzione del PD non ha ribadito le posizioni precedenti, ma ha fatto di più:  ha aggiunto  un’ulteriore condizione. Facendo propria una proposta di Luciano Violante,  Zingaretti ha annunciato una raccolta di firma per una legge  costituzionale che modifichi i ruoli di Camera e Senato. Il senso di questa ulteriore precisazione è che da sola la riduzione del numero dei parlamentari non è una riforma. Essa va inquadrata non solo nelle tre modifiche di cui sopra, ma va anche accompagnata da una revisione delle funzioni delle Camere, una questione spinosa su cui è franato in passato il referendum costituzionale  di Renzi. 

Esiste, ad avviso di qualcuno, la possibilità che questo Parlamento, che ha già superato il giro di boa della prima metà della legislatura, possa darsi carico di una riforma delle funzioni delle Camere e di una revisione del bicameralismo perfetto? Può immaginarsi che all’insieme di questioni economiche da affrontare e delle questioni sanitarie si aggiunga un vasto menù di riforme costituzionali alle quali dedicare non due ma quattro passaggi parlamentari? 

Dunque, in realtà la Direzione del PD ha aggiunto elementi a favore dell’idea che il taglio dei parlamentari non sia una buona soluzione se avulso da un quadro che il Parlamento italiano non avrà né tempo né modo di affrontare, se vorrà  affrontare i drammatici problemi economici e sanitari  del Paese (e non a caso Zingaretti è tornato a insistere sulla necessità di non rinunciare ai fondi del  Mes). 

La scelta che si pone nel referendum è semplice: da un lato vi è  il taglio dei parlamentari come espressione della lotta alla casta dei 5 stelle prima maniera che avevano allora il 30 per cento  dei consensi ed ora hanno si è no il 15. Dall’altra un bagno di umiltà per i 5 stelle nel referendum che confermi il bagno di umiltà che verrà dai risultati delle regionali e imponga loro di scegliere la via della serietà che finora sono riusciti a evitare.

Ecco perché il NO è e resta la via maestra.

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