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NO a entusiasmi prematuri

Massimo Giannini su La Stampa di oggi osserva l’incoerenza di quanti, dopo avere criticato in questi anni le posizioni antiparlamentari e demagogiche dei 5 Stelle, tendono ora a criticare il Movimento per avere messo in discussione, proprio sulla cosiddetta piattaforma Rousseau, quelle posizioni radicali ed averle abbandonate a favore di una più tradizionale politica di alleanze.

Attenderemmo tuttavia qualche controprova prima di condividere l’entusiasmo che si coglie nelle affermazioni del segretario del PD Nicola Zingaretti, per il quale “Luigi Di Maio è stato di parola.” Anche l'on. Salvini durante l’esperienza del governo gialloverde aveva fatto dichiarazioni analoghe, salvo poi trovarsi all’opposizione senza aver compreso esattamente cosa fosse successo.

Qual è il senso delle proposte che la dirigenza Cinquestelle ha posto alla propria base sulla piattaforma Rousseau per farsele ancora una volta pedissequamente approvare? In primo luogo la fine del vincolo dei due mandati per gli eletti a livello locale in modo da aprire la strada alla riconferma di molti parlamentari, a cominciare dai capi del Movimento. Fin qui nulla di strano: il Movimento, com’è ovvio, si sta trasformando in partito.

È, tuttavia, sulla autenticità della seconda svolta – quella cioè della possibilità di alleanze elettorali con altri partiti, che occorre soffermarsi e chiedersi se essa non sia in realtà da collegare alla preoccupazione per un possibile successo dei NO nell’ormai imminente referendum costituzionale.

Per un partito dato in caduta nei consensi elettorali il successo dei NO nel referendum sarebbe il colpo di grazia, tale da provocare forse la frammentazione definitiva del Movimento. E se Di Maio avesse cercato di ridurre le crescenti obiezioni al referendum sul taglio dei parlamentari che montavano in molti partiti e soprattutto nel PD? Se avesse promesso future alleanze per evitare che avvenga al progetto numero 1 del Movimento quello che avvenne al progetto numero 1 di Renzi, cioè l’alleanza di tutti contro quel progetto?

Perché dovrebbe passare quella proposta che tutti gli esperti considerano bislacca e dannosa? In fondo i 5 Stelle oggi hanno fra gli elettori qualcosa come il 15% e l’estrema destra, che ha sempre sostenuto senza se e senza ma il taglio dei parlamentari ha all’incirca lo stesso.

Dunque nel Paese Di Maio e Meloni hanno sì e no il 30 per cento dei consensi.

La Lega, che non ha mai manifestato entusiasmo per questa proposta, creerebbe un elemento di debolezza nell’attuale coalizione se vincessero i NO, oltre a prendersi una rivincita contro chi un anno fa non ha avuto esitazioni a cambiar di cavallo pur di restare al Governo. Forza Italia non ha nessuna ragione di favorire il successo di una proposta che non è sua e che ovviamente consoliderebbe il governo. Dunque in gran parte dell’opposizione non si avverte un gran desiderio di vedere la vittoria dei SÌ.

In realtà nel referendum del 20 settembre risulterà determinante la posizione del PD. Non vi è alcun dubbio su quale sia il pensiero dei militanti di quel partito e di buona parte della sua classe dirigente. Lo ha detto con chiarezza una persona seria come Gianni Cuperlo. Lo pensano Massimo Cacciari e molti altri intellettuali di riferimento del PD. Lo dicono i militanti interrogati nelle assemblee di sezione e nelle feste dell’Unità. Lo pensano i parlamentari che hanno votato per ben tre volte contro questa proposta di revisione costituzionale con abbondanza di argomenti.

Il PD sacrificherà tutto questo in cambio di una promessa di future alleanze?

All’indomani del 20 settembre, se sarà passato il SÌ al referendum - e avverrà solo se Zingaretti, Salvini e Berlusconi si impegneranno a farlo passare - Di Maio e Di Battista potranno dire ai loro elettori che il Movimento è rimasto sempre quello che era. Era anticasta ieri, lo è stato nel governo con Salvini, lo è nel governo con Zingaretti. Il successo non sarebbe allora quello di Zingaretti che porta il M5S alla cultura di governo. Sarebbe quello dei Cinquestelle, che avranno portato gli esponenti dell’odiata casta a fare harakiri davanti alla pubblica opinione.

La garanzia della svolta del M5S non sono le parole di Di Maio: sono i NO nel referendum del 20 settembre. In quel momento si potrà vedere se la svolta del Movimento 5 Stelle c’è stata veramente.

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