Su ciò che la Costituzione prescrive in materia di elezione del Presidente della Repubblica e su altri aspetti collegati a questo argomento ci sembra che vi sia una certa confusione. Il rischio è che, avvicinandosi la data di scadenza del mandato di Sergio Mattarella, la confusione aumenti. Vogliamo quindi esporre con assoluta chiarezza le opinioni del Commento Politico su questa materia.
1. Circola abbastanza frequentemente la tesi che l'eventuale rielezione di un Presidente uscente rappresenterebbe, se non una vera e propria violazione, una forzatura della Costituzione. La nostra opinione è che affermazioni di questo tipo, esplicite o sfumate, non abbiano alcun fondamento nella nostra Carta Costituzionale. La Costituzione italiana ha il pregio di essere scritta con grande chiarezza e precisione. Se i Costituenti avessero ritenuto che un lungo mandato, come è quello che essi decisero per il Presidente della Repubblica, mal si accordasse con una rielezione, lo avrebbero scritto. L'argomento, da qualcuno proposto, che “14 anni sono quasi un regno” non ha senso. Se i Costituenti non hanno previsto la non rieleggibilità, evidentemente hanno ritenuto che potessero esservi situazioni nelle quali la rielezione del Presidente uscente fosse politicamente opportuna o necessaria.
2. Il semestre bianco interferisce con la possibile rielezione del Presidente in carica? Il Presidente Segni fu dell’opinione che il semestre bianco limitasse troppo i poteri del Capo dello Stato e che potessero darsi situazioni politiche in cui fosse necessario per il Presidente prospettare lo scioglimento delle Camere o addirittura procedervi. Poiché la norma sul semestre bianco era stata posta nella Costituzione per impedire un eventuale abuso del potere di scioglimento collegato a un'ipotesi di rielezione del Presidente in carica, Segni ipotizzò una duplice revisione costituzionale che prevedesse l'abolizione del semestre bianco e il divieto di rielezione del Presidente. A parte il fatto che il porre questa questione de iure condendo conferma che nella Costituzione vigente non c’è attualmente alcun vincolo alla rieleggibilità, riteniamo che la questione dell'attenuazione dei poteri presidenziali nel corso del semestre bianco non ponga problemi tali da imporre, e neppure giustificare, una revisione costituzionale. Possono esservi circostanze politiche che suggeriscono la rielezione del Presidente uscente. Non vediamo il motivo di escludere questa eventualità dal novero delle possibilità aperte davanti al collegio chiamato ad eleggere il Presidente della Repubblica. Meglio lasciare le cose come stanno. Aggiungiamo che la questione del semestre bianco non sembra particolarmente rilevante. Se durante il semestre bianco si presentassero situazioni molto gravi, nelle quali la mancanza del potere di scioglimento delle Camere rendesse difficile per il Presidente esercitare pienamente il suo ruolo, egli potrebbe sempre anticipare il momento delle proprie dimissioni. In tal modo il Parlamento sarebbe obbligato a procedere immediatamente all'elezione del Presidente, il quale avrebbe da subito anche il potere di scioglimento.
3. Si leggono abbastanza spesso affermazioni del tipo: “Bisogna tener conto della volontà del Presidente uscente di non essere rieletto”. Si tratta di affermazioni pericolose che rivelano una concezione inesatta dell'Istituto della Presidenza della Repubblica nella nostra Costituzione. Ovviamente, se una persona designata per una carica ritiene per propri insindacabili motivi di non potere accettare quella nomina, non resta che prenderne atto. Ma l'elezione alla Presidenza della Repubblica non presuppone una disponibilità ad accettare la carica. Se si instaurasse questa prassi, si andrebbe nella direzione, che riterremmo perniciosa, della trasformazione dell'elezione del Presidente della Repubblica in qualcosa che assomiglia all’elezione dei Sindaci o dei Presidenti delle Regioni. Si è letta in passato l'idea che i candidati alla Presidenza della Repubblica dovrebbero farsi avanti e magari presentare un proprio programma da sottoporre ai grandi elettori. Volendo procedere alla demolizione della Repubblica, tutto è lecito. Ma la Costituzione che - ripetiamo - fu scritta da gente che aveva la testa sulle spalle, non concepisce e non ammette l'ipotesi di candidature alla Presidenza. È il collegio che rappresenta l'istanza democratica massima riunendo la Camera, il Senato e le autonomie regionali, che sceglie la persona che esso considera più atta a ricoprire l'alto incarico. Si è portati alla Presidenza della Repubblica. Non ci si candida ad essa in nessuna forma, neppure in quella indiretta della dichiarazione di disponibilità o di indisponibilità. Questa pretesa di investigare la volontà dei possibili candidati contiene in sé il germe di un’alterazione della Costituzione. Se i Costituenti hanno fissato un quorum più elevato di quello che normalmente è il quorum necessario per fare nascere un governo, è perché hanno voluto imporre al collegio elettorale una scelta che sia in grado in quel momento di rappresentare il massimo di unità della nazione. E se quella unità si può manifestare meglio di tutti con la conferma del Presidente in carica, questa è la volontà della nazione. In altre parole, dal punto di vista costituzionale la volontà dell’eventuale candidato non è una condizione necessaria per procedere alla sua scelta. Interrogare un possibile candidato per conoscerne l’orientamento circa la possibilità che egli accetti l’elezione vorrebbe dire instaurare indirettamente una procedura diversa da quella nitidamente disegnata dalla Costituzione.
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