top of page

Ripensare le Regioni

Il Commento Politico ritiene indispensabile porre all’attenzione dell’opinione pubblica e delle forze politiche la questione se sia o meno opportuno che l’architettura istituzionale del Paese continui a fondarsi sulla tricotomia Stato Regioni Città.

La recente tornata di elezioni regionali e il successo nel referendum della proposta di taglio al numero dei parlamentari porterebbero a ritenere che ci si debba attendere un incremento del peso delle Regioni negli equilibri politici ed economici del Paese.

In primo luogo perché l’esito delle elezioni regionali ha fatto emergere figure di presidenti delle Regioni sempre più tendenti a trasformarsi in “governatori”. Da Bonaccini a De Luca, da Emiliano a Toti si è sviluppato un fenomeno di nascita di personaggi dallo spessore politico autonomo: basta pensare alla cripto-candidatura di Bonaccini alla segreteria del Pd o al recente connubio Toti-Carfagna che ha l’ambizione di condizionare, se non addirittura modificare, la linea di Forza Italia.

Anche in un partito tradizionalmente monolitico, come la Lega, la figura di Zaia diventa ogni giorno più ingombrante per Matteo Salvini.

In secondo luogo, le circostanze che abbiamo fin qui descritte, sono destinate a riaccendere un tema, come quello delle autonomie speciali delle Regioni, fin qui rimasto transitoriamente sotto traccia.

Ma c’è di più. Il risultato del referendum sul taglio dei parlamentari, nella misura in cui renderà sempre più difficile un funzionamento efficace del nostro bicameralismo perfetto, riproporrà oggettivamente il tema della differenziazione dei compiti delle due Camere. La soluzione a questo problema è divenuta nel nostro dibattito politico quasi un mantra: quello di trasformare il Senato in Senato delle Regioni.

Il Commento Politico ritiene che questa sorta di determinismo che si va strutturando per ciò che attiene alle necessarie modifiche degli aspetti istituzionali, vada energicamente combattuto. Noi riteniamo che questo sia il momento più opportuno per non far oscillare il pendolo sempre da un solo lato. All’orizzonte, esauritasi l’ubriacatura regionalistica, c’è l’importantissima tornata elettorale che riguarda tutte le principali città italiane, da Roma a Milano, da Torino a Napoli a Bologna. L’attenzione delle forze politiche necessariamente si sposterà sul tema del buon funzionamento delle grandi aree metropolitane. Noi ci domandiamo: sarà possibile far ripartire il Paese con politiche tendenti ad aumentare, a seconda del tipo di tornate elettorali, il numero di soggetti istituzionali chiamati a dare un serio contributo alla ripresa dell’Italia? A maggior ragione oggi che la chiarezza e la trasparenza delle scelte che il Paese è chiamato ad operare per l’utilizzazione dei fondi europei non deve scontrarsi con confusioni di competenze e di eccessiva compartecipazione alle scelte dei vari livelli di governo. Il Commento Politico ritiene che il principale interlocutore dell’Italia nei prossimi decenni sarà l’Europa: perché non immaginare allora un futuro Senato a vocazione europea e non a vocazione regionalistica, dal momento che già esiste la Conferenza Stato-Regioni? E nel caso si ritenesse finalmente, come del resto pensa la maggior parte dei cittadini, di diminuire i livelli di governo, dove sarebbe opportuno far confluire la maggior parte delle responsabilità? Nelle Regioni o nelle aree metropolitane?

La nostra risposta non vuole essere una risposta ideologica. Sarebbe però irragionevole non tener conto di ciò che effettivamente è stata l’esperienza regionale dagli anni Settanta ad oggi. Le Regioni da organo di programmazione si sono via via trasformate in luoghi di politica e insieme di amministrazione. Ciò non ha contribuito a eliminare lo storico dualismo tra Nord e Sud che, anzi, si è terribilmente accentuato. Ciò ha provocato un aumento del peso specifico della dimensione regionale nella definizione delle scelte nazionali, con la conseguenza, che è sotto gli occhi di tutti, di rendere sempre più ardua la realizzazione dei progetti di sviluppo del Paese (infrastrutture, telecomunicazioni, eccetera) che sono tutti di livello ultraregionale.

C’è, infine, una questione che dovrebbe orientare forze politiche e opinione pubblica in modo decisivo. La principale competenza oggi attribuita ai livelli regionali di governo è rappresentata dalla gestione del Servizio sanitario nazionale. Noi crediamo che lo stress cui è stata sottoposta la sanità pubblica in queste fasi dell’epidemia, rappresenti l’argomento più convincente per orientarsi nel momento in cui si voglia mettere mano all’architettura istituzionale del Paese.

コメント


bottom of page