Il Commento Politico ha atteso 24 ore prima di esprimere qualche riflessione sull’incarico affidato a Mario Draghi dal Presidente Mattarella.
Siamo, come è ovvio, totalmente d’accordo con la decisione del Presidente e nutriamo la massima considerazione circa le capacità e l’autorevolezza del presidente incaricato.
Abbiamo atteso perché volevamo vedere quali fossero le reazioni del mondo politico e parlamentare all’iniziativa di Mattarella. Al momento non possiamo che esprimere la nostra preoccupazione, il nostro sconcerto e la nostra sorpresa.
Non ci sfugge ovviamente la circostanza che i risultati elettorali del 4 marzo 2018 abbiano reso questa legislatura la più impervia sotto il profilo della governabilità e da questo punto di vista confidiamo che in primis gli elettori abbiano fatto tesoro di questa esperienza. Né ci sfugge che le forze politiche abbiano fatto il possibile per formare governi, come il Conte 1 e 2, sostenuti da partiti che si erano aspramente combattuti durante la campagna elettorale e che, perciò, hanno dovuto far digerire alle loro comunità di riferimento scelte impreviste e spesso di difficile comprensione.
Ora però che tutte le strade sono state percorse ed hanno espresso tutto ciò che si poteva fare, è necessario che ogni forza politica – elaborate, come si dice in queste ore, le forme del lutto – comprenda la gravità della situazione, come è stata sinteticamente ma densamente illustrata dal Presidente della Repubblica e come è stata ancor più icasticamente descritta da Mario Draghi nel suo incipit al discorso di accettazione con riserva dell’incarico: “È un momento difficile. …”.
Non vorremmo che l’understatement di Draghi, un uomo abituato ad ambienti dove ogni singola intonazione può causare conseguenze terribili nei mercati e sulla tenuta delle divise e dei bilanci pubblici, sia stato interpretato come un’accondiscendenza verso il proseguimento di pratiche e tattiche politiche proprie dei periodi di ordinaria amministrazione.
Vorremmo dire con chiarezza due cose.
La prima: fino ad oggi la prospettiva delle elezioni anticipate è stata utilizzata più che altro dai partiti come uno strumento di collocazione politica e di negoziato fra loro: nel centrodestra per tenere insieme una coalizione dalle diverse sensibilità; nella maggioranza, per operare pressioni su alleati riottosi.
Ora è bene sapere che elezioni anticipate, pur restando un’ipotesi costituzionalmente possibile, avrebbero come conseguenza la crisi del debito pubblico. I partiti possono forse continuare a parlare al loro elettorato come se nulla fosse accaduto, ma i mercati e l’Europa non guardano i social, dove si fa propaganda. Capiranno solo che la classe politica italiana ha bocciato il più autorevole e stimato esponente della comunità nazionale e ne trarranno le conseguenze: sia se il governo non riuscisse a formarsi e si andasse alle elezioni nella tarda primavera, sia se, formatosi, esso cadesse a luglio per fare elezioni ai primi di ottobre.
A nessuno, nemmeno a Mario Draghi, si può chiedere di mettere in sicurezza il Paese in quattro mesi.
La seconda: col passare delle ore, sia sul fronte Cinque stelle, su quello della Lega, e cioè da parte dei due partiti dal cui atteggiamento può dipendere la riuscita del tentativo Draghi, comincia a farsi strada l’idea di poter essere a diverso titolo favorevoli alla nascita del governo, se il nuovo esecutivo avrà la caratteristica di “governo politico”.
Ebbene, il presidente incaricato ha definito i tre obiettivi del governo che intende formare: lotta alla pandemia ed efficace campagna vaccinale, definizione di un piano per il Recovery condiviso da Bruxelles e che faccia ripartire l’economia, interventi a sostegno delle categorie più colpite dalla crisi nella consapevolezza che, dal prossimo marzo, ai settori già ampiamente in difficoltà si aggiungeranno quelli su cui interverrà la fine del blocco dei licenziamenti.
Difficile dire che questo non sia il programma di un governo politico, perché queste sono effettivamente le priorità del Paese.
Se le forze politiche riterranno indispensabile che alcuni loro esponenti facciano parte dell’esecutivo, è altrettanto indispensabile che i ministri di estrazione politica siano persone all’altezza del loro compito e non interpretino la loro funzione con logiche di spartizione del potere.
Un’ultima annotazione. È del tutto evidente che il governo Draghi può rappresentare la rottura di preesistenti equilibri politici, peraltro già in sé precari. Esso non può essere una meteora, ma non può nemmeno rappresentare un motivo di sospensione della vita politica. Il Paese ha davanti a sé una tornata elettorale amministrativa in tutte le grandi città che riveste una grande valenza politica. È questo il vero banco di prova da cui si evincerà se il fallimento delle due formule politiche sperimentate in questa legislatura provocherà o meno mutamenti nei due schieramenti in cui da ultimo sono sembrate collocarsi le forze politiche.
Se i partiti, come giustamente dicono e pretendono, non vogliono essere espropriati dei loro indispensabili compiti, questo è il terreno su cui far valere il diritto-dovere di esercitare a pieno la loro insostituibile funzione.
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