Non c’è stata un’onda di destra nelle elezioni del 25 settembre. La coalizione vincente ha raccolto circa il 45% dei voti, meno della somma delle tre forze che possono indicarsi come di centrosinistra, il PD, i 5 Stelle e il cosiddetto Terzo polo.
Vi è stato invece un netto travaso di voti fra le forze del centrodestra a danno di Forza Italia e della Lega ed a favore dell’estrema destra dell’on. Meloni. Ma non abbiamo l’impressione che si sia determinata un’adesione piena e convinta alle posizioni della destra di Fratelli d’Italia. Ci sembra piuttosto che gli elettori del centrodestra abbiano segnalato una delusione per l’affievolimento della voce di Silvio Berlusconi e, soprattutto, per un forte appannamento dell’immagine della Lega. Gli sbagli di comunicazione della Lega nei diciotto mesi del governo Draghi sono stati fatali a questo partito che non ha mai offerto una spiegazione convincente della sua adesione a quella ipotesi di governo. Ha, anzi, dato l’impressione di considerarla sbagliata. Invece di polemizzare con Fratelli d’Italia per la loro scelta, l’on. Salvini ha finito per dare l’idea di considerare sbagliata la propria collocazione. Se si vuole avanzare una spiegazione della relativamente sorprendente tenuta di Berlusconi, nonostante la fuga ingloriosa di molti dei suoi esponenti, è nel fatto che Forza Italia aveva tenuto un atteggiamento coerente di sostegno al governo Draghi. L’unico errore è stato avere frettolosamente seguito Salvini nel proposito di cogliere la palla al balzo della dissociazione dei 5 Stelle per regalare a Meloni le tanto sospirate elezioni.
Quanto è solido il risultato del centrodestra e dei Fratelli d’Italia in particolare?
Ovviamente molto dipenderà dall’esito dell’esperienza di governo cui l’on. Meloni si prepara. Essa sarà resa difficile da quattro circostanze non irrilevanti: la gravità del quadro economico che si annuncia per il prossimo futuro (vedi il Nadef dei giorni scorsi); l’inesperienza della classe dirigente di quel partito e la difficoltà di individuare figure significative per i principali ministeri e soprattutto per il ministero dell’Economia; le difficoltà che le proverranno dagli alleati; la insufficiente maggioranza al Senato, dove le assenze dei senatori che entreranno nella compagine governativa peseranno soprattutto nel lavoro e nel voto delle Commissioni.
Noi pensiamo che in sé il voto ai Fratelli d’Italia costituisca un exploit che potrà consolidarsi ma potrà anche venire facilmente meno. Vi è stata negli ultimi 10 anni una fluttuazione impressionante nell’orientamento degli elettori. Nelle elezioni europee del 2014 il segretario del PD, Matteo Renzi, fece guadagnare al suo partito 15 punti che poi perse rapidamente. Nelle elezioni del 2018, i 5 Stelle raggiunsero inaspettatamente il 32% dal 15-17% precedente. Nelle europee del 2019, Salvini salì al 35% dal 17% delle elezioni politiche dell’anno precedente. C’è una evidente volatilità dell’elettorato che sembra cercare una risposta e rapidamente mostrarsi deluso delle proprie scelte. Non scorgiamo attualmente nell’afflusso di consensi ai Fratelli d’Italia una dinamica diversa da quella che nel recente passato ha provocato così ampie fluttuazioni. Vedremo.
Il centrosinistra poteva affrontare le elezioni con questo sistema elettorale, che con un po’ di buon senso avrebbe dovuto cambiare, o con uno schieramento come quello della destra, cioè creando un cartello elettorale, oppure cercando una coalizione più omogenea. La scelta del segretario del PD di formare una coalizione con la gamba moderata del centrosinistra e rinunciando ai 5 Stelle che avevano scelto di far cadere il governo Draghi era in sé condivisibile. Era un modo per appellarsi a un elettorato ragionevole, cercando una coalizione relativamente omogenea. Se c’è stato un errore, è stato di ritenere affidabile la personalità con la quale aveva scelto di trattare. Forse l’on. Letta aveva male individuato l’interlocutore. Il voltafaccia di Calenda si spiega con l’esclusione, concordata fra lui e Letta, di Matteo Renzi dalla combinazione. Quando quest’ultimo ha dichiarato che avrebbe continuato da solo lungo la strada del Terzo polo, probabilmente raccogliendo i fuoriusciti di Forza Italia, l'on. Calenda ha pensato meglio di svincolarsi dall’accordo con Letta. Ma l’esito è stato, com’era stato ampiamente previsto, la vittoria al Senato del centrodestra e soprattutto la fine del governo Draghi che il Terzo polo dichiarava di volere proteggere. Un esito che non testimonia per la lungimiranza di quello che ieri il professor Panebianco chiamava sul Corriere della Sera il "nuovo Partito repubblicano”. Con tutto il rispetto per il professor Panebianco, il “Partito Repubblicano” nel corso del dopoguerra, non ha mai consegnato l’Italia né all’estrema destra, né all’estrema sinistra. Il "nuovo Partito repubblicano” ha quindi molta strada da fare e molte cose da imparare prima di avere titolo a fregiarsi di un nome così onorevole.
Il Commento Politico seguirà con attenzione i passi del governo Meloni, ma soprattutto guarderà a ciò che si potrà fare per costruire una prospettiva politica per il nostro Paese.
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