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Trattative nella nebbia dell’epidemia

Il ritorno di fiamma dell’epidemia e le nuove misure adottate per contenere il diffondersi dei contagi stanno facendo gradualmente tornare il Paese ai ritmi più lenti che ne avevano caratterizzato la fisionomia in primavera.

Governo, maggioranza ed opposizione, ovviamente ciascuno dal proprio punto di vista, concordano nel ritenere indispensabile evitare lockdown generalizzati e su questo conviene la maggior parte degli italiani.

Il dibattito politico tende così ad esaurirsi in schermaglie di repertorio, con la maggioranza che invita l’opposizione a non strumentalizzare la pandemia e l’opposizione che accusa la maggioranza di non aver saputo utilizzare al meglio la fine della prima fase acuta, migliorando per tempo le strutture sanitarie di base ed assicurando alla popolazione metodi diagnostici agevoli e di sicura affidabilità.

La sensazione generale è che dall’incertezza delle conseguenze che la nuova ondata di contagi porta con sé, tutte le forze politiche traggano motivo per prendere tempo. Il tempo per definire nuovi orizzonti, nuovi messaggi e nuove alleanze.

Il centrodestra, cui le ultime tornate elettorali ha tolto compattezza e forza propulsiva, fa fatica a trovare nuove chiavi di comunicazione, come fa notare Paolo Mieli sul Corriere della Sera di oggi, quando, ironicamente, segnala i nomi dei giornalisti Giletti o Porro come candidature emergenti a nuovo sindaco della Capitale.

Dal canto suo la maggioranza e la restante parte del centrosinistra fingono di aprire un dibattito nel proprio campo nella consapevolezza che qualunque reale passo avanti sarà impossibile se prima non saranno trovati al Senato i 161 voti necessari per approvare la Nota di aggiornamento al Def (Nadef) e lo scostamento di bilancio: cioè i due presupposti su cui deve fondarsi una nuova manovra costruita per allungare fino a gennaio le misure di sostegno alle famiglie e alle imprese. Se prima la maggioranza non tiene in Parlamento e se non interviene il chiarimento politico nei Cinquestelle all’inizio di novembre, come parlare ora del pur necessario Mes o di come utilizzare i fondi del Next Generation UE? Non a caso, su entrambi i temi, sono giorni che il Ministro dell’Economia ha messo la sordina.

La politica, tuttavia, pur essendo un terreno elastico, presenta anche delle rigidità.

In primavera si voterà in tutte le principali città italiane. Roma in primis.

Si tratta di un appuntamento cruciale non solo perché riprodurrà su palcoscenici importanti le sfide locali tra le forze politiche, ma perché costituisce il banco di prova per capire se ci cono le condizioni per costruire un’alleanza capace di affrontare le successive elezioni presidenziali dell’inizio del 2022 e le successive – forse ravvicinate – elezioni politiche.

Il PD – lo sottolineavamo di recente sul Commento Politico, ha avanzato una proposta per uno schieramento a tre gambe che lo vede alleato su un lato con i Cinquestelle e sull’altro con “una formazione che ancora non c’è”, costituita dai movimenti di Renzi, Calenda, Bonino e da altre forze laiche, cattoliche ed ambientaliste.

Si tratta di un progetto interessante, l’unico forse in grado di rendere contendibili elezioni nazionali in cui i sondaggi continuano a vedere in vantaggio il centrodestra.

Ma si tratta allo stesso tempo di una prospettiva difficile perché implica una convergenza politico-programmatica tra forze molto diverse e che spesso si sono dichiarate reciprocamente incompatibili.

Le prime avvisaglie arrivano dalla situazione di Roma, dove in settimana emergerà una candidatura Calenda, che non solo ne escluderebbe una del PD ma che rappresenterebbe uno stop ad un’alleanza tra PD e Cinquestelle anche in caso di forfait della Raggi. In tutte le altre città, seppur con combinazioni diverse, è facile prevedere che si verificheranno situazioni analoghe.

L’alleanza contro la destra, adombrata dai vertici del PD, in realtà è una doppia coalizione. Da un lato quella tra PD e Cinquestelle. Dall’altro, quella tra il PD e il “partito che non c’è”. Calenda accetterà il consiglio di Giuliano Ferrara di ricordare che la propria avventura politica nasce da un’elezione al Parlamento europeo nelle liste del PD e riuscirà contenere le proprie differenze dal PD nell’ambito di una legittima dialettica? Discorso analogo vale per Renzi. E Di Maio, dal canto suo, sarà in grado di far accettare ai suoi, a livello locale, la scelta di alleanza col PD a livello nazionale che propugna negli ultimi tempi?

Emergerà, in altre parole, la necessaria volontà politica per superare scogli così insidiosi? Le elezioni delle grandi città saranno il test decisivo. Non sembra un compito facile, ma Berlusconi vinse la sfida nel 1994 alleandosi al nord con la Lega e al sud con Alleanza Nazionale.

Certo è che tutti coloro che si accingeranno all’impresa non possono pensare di uscirne vergini.

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