Lettera da Washington
Biden non ha molto tempo davanti per realizzare ciò che secondo le aspettative ha in mente e che è davvero molto, sia che si guardi ai progetti di sviluppo reale che a quelli di impatto sociale. Man mano che si delineano i suoi programmi, si intravede un disegno ambizioso, di scala paragonabile all’impresa di Roosevelt dopo la grande crisi degli anni ’30.
Ma sin d’ora si vedono due imponenti scogli che dovrà evitare per condurre in porto un’opera di queste dimensioni.
Il più minaccioso, guardando oltre l’orizzonte del primo biennio, sarà di preservare il diritto al voto. Non si tratta di creare nuove categorie di elettori: si tratta di far sì che i cittadini siano incoraggiati ed aiutati ad andare alle urne, e non il contrario come spesso accade ancora. La mobilitazione degli elettori ha avuto successo nel 2020, portando ai seggi grandi numeri di cittadini che venivano regolarmente scoraggiati dalle norme in vigore negli stati di residenza. La risposta di questi cittadini, tra cui spiccavano le minoranze di colore, ha portato pochi mesi fa i Democratici al successo e Biden alla Casa Bianca, ma è ora proprio per questo motivo sotto attacco da parte delle amministrazioni Repubblicane di alcuni stati-chiave (a cominciare dalla Georgia), dove vengono adottate nuove norme più restrittive. Se il diritto al voto non verrà preservato, la probabilità che si creino maggioranze Repubblicane precostituite tornerà ad essere un fattore decisivo, a danno della democrazia reale nell’intera nazione. Si aggiunga che le elezioni di mezzo termine tradizionalmente comportano un po’ di usura per il partito al governo, e si capisce perché Biden non possa dormire sugli allori.
Anche una volta salvato il libero voto dei cittadini, non basterà ancora. Per riuscire a far passare il suo programma al Congresso, dovrà superare una condizione preliminare che riguarda la governabilità stessa del Congresso, dove l’amministrazione Biden ha una maggioranza striminzita al Senato, che non basta quando il partito avverso ha per qualsiasi voto l’opzione di esigere arbitrariamente una maggioranza qualificata. I Democratici riflettono attualmente su come riformare questa regola del Senato, ma sono anche cautamente consapevoli che ogni ritocco oggi a loro vantaggio, domani potrà favorire invece i loro avversari.
Su questo sottofondo, Biden sembra intenzionato a mettere sul tavolo una proposta che potrebbe avere un grande impatto nel paese e per un lungo periodo di tempo. Nella sua prima conferenza stampa, mentre i giornalisti erano in agguato per cogliere ogni segno di senilità o di debolezza fisica, Biden ha invece prospettato obiettivi ambiziosi e una prospettiva prolungata - e perché no - ad un eventuale secondo mandato.
Questo atteggiamento appare consono piuttosto ad una presidenza ambiziosa, che intenda affrontare seriamente i problemi grossi del paese, che non a una intenta a limitarsi a rosicchiare i bordi di ciò che appare possibile oggi.
Con questo in mente, il programma economico dell’amministrazione - stando alle indicazioni - dovrà proseguire con balzi giganteschi: dopo gli stanziamenti di trilioni di dollari già disposti per contrastare la pandemia e mitigare i suoi effetti sui redditi delle famiglie, l’amministrazione prepara un programma di intervento economico estremamente ambizioso, che richiederà la spesa di altri tre trilioni di dollari o forse anche quattro, da erogare nel corso del prossimo decennio, mirando al rilancio dell’infrastruttura del paese. È una spesa enorme, anche confrontandola con il “New Deal” di Roosevelt (che aggiunse qualche decina di miliardi di dollari al debito pubblico della nazione, ma qui si parla di trilioni). È il tipo di spesa che solo il governo può affrontare, forte della sua capacità di attingere a credito a basso costo, unirlo alle risorse ricavate da una politica fiscale progressiva, e impiegarlo in maniera coordinata, offrendo al settore privato l’opportunità di avvalersene per balzare a nuovi livelli di attività. Con Roosevelt ha funzionato.
L'aspettativa è che il piano venga annunciato a breve, forse oggi stesso, e a quanto pare lo sarà proprio nel cuore operaio dell’America del carbone e dell’acciaio, a Pittsburgh in Pennsylvania. Vedremo allora come si articolerà di preciso; ma evidentemente cercherà di ricreare opportunità proprio per i numerosi lavoratori americani colpiti simultaneamente dalla concorrenza di prodotti manifatturati a basso costo provenienti dall’estero, dall’afflusso all’interno di lavoratori immigrati dalle regioni più povere o più insicure delle Americhe, e infine dall’effetto dell’evoluzione delle tecnologie che hanno reso desuete intere catene produttive.
Questi sono i tre corni, se si può dire, della bestia che Biden e suoi devono ora affrontare: hanno dinanzi un elettorato in tuta da meccanico, che si sente abbandonato dai Democratici di oggi (caricaturati come una “gauche caviar”) ed è attratto invece dai populisti di Trump, di cui alimenta la milizia, o dai politici più radicali all’interno del partito. Ma Biden è riuscito l’autunno scorso a comunicare con loro, e a guadagnare il voto del loro stato; ha promesso attenzione, e ora la deve dimostrare.
Ma non c’è solo un obiettivo sociale da perseguire. È un fatto che l’infrastruttura del paese ha un reale bisogno di ammodernamento per mettersi alla pari con i concorrenti internazionali; questo da sé giustificherebbe il colossale impegno di risorse pubbliche necessarie per costruire o ricostruire opere ormai erose dal tempo. Occorre anche colmare dei vuoti, e offrire al mercato le tecnologie del futuro: energia verde e affidabile, internet ad alta velocità 5G (non cinese), una rete stradale e ferroviaria moderna, e via discorrendo. È il prezzo per aiutare gli stessi americani che hanno portato avanti il paese da Roosevelt in poi. Essi ora vedono logorate dal tempo e superate dai concorrenti tutte quelle opere che allora fecero grande il loro paese e lo prepararono ad affrontare il mondo tempestoso degli anni ’40, nonché la sua continuazione nella guerra fredda, e adesso in una pace via via più fredda ancora.
Oggi, finito il mondo della cortina di ferro, le nuove sfide che si presentano alle porte non sono meno temibili, e per essere sostenute all’estero richiederanno all’interno il mantenimento di una miscela ben misurata di apertura dei mercati, accompagnata a nuove opportunità di lavoro che occorrerà indicare, per rimpiazzare quelle a rischio. E non basteranno i due anni fino alle prossime elezioni, né i quattro del primo mandato.
Franklin
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