Il nostro Paese si sta confrontando con la crisi più difficile della storia della Repubblica. Si tratta di una sfida ardua e superabile solo se sapremo ritrovare una visione del futuro, se saremo in grado di non sperperare in mille rivoli le risorse che l’Europa - oggi finalmente più lungimirante rispetto al recente passato – ha deciso di metterci a disposizione, se le forze vive della società sapranno collaborare e se gli apparati amministrativi non rappresenteranno un freno alla indispensabile celerità con cui gli interventi di politica economica devono positivamente ripercuotersi sui bilanci delle imprese e delle famiglie.
Esiste però qualcosa che viene prima di tutto ciò, ed è la cultura di governo delle forze politiche chiamate ad operare le scelte fondamentali.
Questo vale per i partiti d’opposizione ma soprattutto, ovviamente, per quelli che costituiscono la maggioranza. In particolare per il M5S che ha più della metà dei parlamentari che sostengono il governo.
È allora interesse di tutto il Paese favorire la più rapida trasformazione di questo partito da movimento di protesta in forza politica di governo.
Alcuni passi avanti in questo senso sono stati fatti. Non tanto durante il primo anno di legislatura, quando l’alleanza tra Cinquestelle e Lega si è caratterizzata con un interminabile scavalcamento reciproco sul piano del populismo. Quanto, nel secondo governo Conte, con evidenti virate della linea politica del Movimento, approdato su molti temi a posizioni di maggiore responsabilità. In primo luogo sul terreno dei rapporti con l’Europa: sono lontani i tempi in cui Di Maio andava in Francia a dialogare con i leaders dei gilets gialli.
Ma tutto questo, pur importante, non è sufficiente. Perché il Paese è in preda ad una crisi rovinosa e non c’è tempo di attendere un’evoluzione lenta del Movimento. E perché lo stesso M5S è dilaniato al proprio interno da forti contrasti per la conquista del partito dopo le dimissioni di Di Maio. Queste tensioni da un lato rallentano l’azione del governo, dall’altro sono terreno fecondo per quei candidati che pensano di poter conquistare la leadership interna riportando in auge le bandiere originarie, barricadere e populiste quanto semplicistiche ed incompatibili con le esigenze di un Paese sviluppato come il nostro.
La possibilità per ogni forza politica di decidere in autonomia il proprio destino è un diritto inalienabile e un fondamento di ogni democrazia moderna.
C’è però la possibilità per tutti i cittadini – anche quelli di altro orientamento politico - di mandare un segnale a un partito che rappresenta il perno su cui si fonda un governo chiamato a scelte fondamentali per il destino dell’intero Paese. I Cinquestelle hanno deciso di celebrare il loro congresso dopo le elezioni regionali di settembre. Insieme a queste elezioni si terrà il referendum sul taglio dei parlamentari. Si tratta di una bandiera del “vecchio Movimento”, un tema da rivoltosi all’assalto delle istituzioni.
Il Commento politico cercherà di spiegare, con il contributo di esperti, quanto fuorviante e mistificatoria sia questa riforma.
Ma c’è di più: il via libera alla riforma ridarebbe fiato alle componenti del Movimento più oltranziste e non potrebbe non ripercuotersi sulle sorti del governo. Senza contare che il taglio dei parlamentari paralizzerebbe le Camere per molto tempo, e proprio in un momento in cui agli organi costituzionali deve essere richiesto il massimo sforzo in termini di lavoro e di efficienza.
Con il voto per quel referendum ciascun elettore avrà, dunque, la possibilità di incidere sulle modalità e l’efficacia con cui maggioranza e governo dovranno affrontare questa terribile crisi.
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