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Una riforma costituzionale sbagliata

  • Il Commento Politico
  • 23 lug
  • Tempo di lettura: 4 min

La proposta di riforma costituzionale della giustizia avanzata dalla maggioranza, su cui si è votato ieri in Senato, comprende due parti: la prima riguarda la separazione delle carriere fra magistratura inquirente e magistratura giudicante; la seconda il sistema di formazione del Consiglio Superiore della Magistratura o dei due Consigli che si formeranno a seguito della separazione delle carriere.  

La nostra valutazione di merito sulle due parti è diversa: del tutto negativa rispetto all’ipotesi di separazione delle carriere, possibilista sull’ipotesi di sorteggiare i membri del o dei CSM non designati dal Capo dello Stato. Nell’insieme, tenendo conto di una nostra contrarietà generale alle modifiche costituzionali, la nostra valutazione complessiva è negativa e ci condurrà, se al termine dell’iter parlamentare vi sarà un referendum, a schierarci nettamente a favore del NO.

Circa la separazione delle carriere, abbiamo l’impressione che il rimedio proposto possa essere peggiore del male. Se la preoccupazione da cui nasce la riforma è quella di un’eccessiva propensione accusatoria da parte della magistratura inquirente ed una relativa debolezza della magistratura giudicante rispetto alla magistratura inquirente, individuare due carriere diverse e separate rischia di aggravare la situazione. Se, d’ora in avanti, i pubblici ministeri svolgeranno per tutta la loro vita professionale solo questa funzione e se si creerà una maggiore e più aperta contrapposizione fra loro e i giudici, la conseguenza sarà che essi finiranno per accentuare le loro posizioni. In più, la loro carriera, che si svolgerà solo entro questa branca della magistratura, sarà in qualche modo condizionata dai successi nell’azione inquirente. Semmai vi sarà un aumento del giustizialismo, forse compensato dal contrasto con i giudici, ma certamente maggiore di oggi. 

Se la preoccupazione è che una carriera unica possa creare una commistione nel singolo magistrato fra la sua attività inquirente e l’attività giudicante, se cioè si teme che nel magistrato che svolge una funzione giudicante possa permanere il residuo o l’attesa di svolgimento di un compito inquirente, il rimedio (del resto già apportato) sembrerebbe essere quello di limitare le possibilità di muovere dall’uno all’altro ambito di attività. Si può stabilire che una volta fatto un passaggio non si possa ritornare nell’altro ambito della magistratura.

Queste considerazioni ci sembrano così ragionevoli da far sorgere il dubbio (o il sospetto) che vi possa essere una riserva mentale da parte dei sostenitori della riforma o di una parte di essi, nel senso che essa prepari il terreno per un passo ulteriore, cioè per un assoggettamento dell’azione dei nuovi pubblici ministeri al ministero della giustizia (come è già negli ordinamenti di alcuni altri paesi). Il ministro della Giustizia ha negato più volte con sdegno che questa possa essere l’intenzione recondita della maggioranza. Gli si deve credere perché è evidente che egli è consapevole del vulnus che l’assoggettamento dei PM all’esecutivo arrecherebbe al principio democratico della separazione dei poteri. Ma sarà ben presto evidente che l’applicazione delle nuove norme, così come esse sono scritte, peggiorerà le cose rispetto alla situazione attuale. 

Diversa è la valutazione sulle nuove regole di formazione del CSM, in parte più favorevole. Ciò vale per il sorteggio dei componenti provenienti dalla magistratura, non per quelli scelti dal Parlamento. Se si dà al Parlamento il potere di indicare i membri di un organo, allora si deve anche accettare che quella scelta rifletta la sua composizione politica. Non ha senso formare una lista di nomi proposta dai gruppi parlamentari, i quali ovviamente esprimeranno idee e posizioni vicine a quelli dei gruppi che li hanno espressi, e poi estrarre a sorte quelli che andranno a comporre gli organismi: sarebbe paradossale che il Parlamento, per effetto del sorteggio, fosse rappresentato nel CSM da una maggioranza di persone vicine alle posizioni delle opposizioni. Se l’intenzione è dare anche alla terza componente del CSM una composizione dettata dalla sorte, allora sarebbe meglio eliminare del tutto la componente parlamentare e stabilire che il sorteggio abbia direttamente luogo fra i componenti di certe categorie. Noi pensiamo invece che sia giusto lasciare nel CSM una rappresentanza del Parlamento, prevedendo, come è ora, una maggioranza qualificata per la loro elezione, così da indurre maggioranze e minoranze a scegliere personalità in qualche modo votabili anche dall’altra parte.

Consideriamo invece il sorteggio dei magistrati che dovranno far parte del o dei CSM una buona soluzione. Proprio alla luce delle esperienze complessivamente negative sul funzionamento del CSM per quanto attiene a carriere e nomine – di cui il caso Palamara rappresenta soltanto la degenerazione ultima – un cambiamento è necessario. E poiché, dove vi sono votazioni di liste non possono che formarsi partiti o cordate, il sorteggio e il divieto di poter essere sorteggiati due volte sono rimedi opportuni per ridurre, se non eliminare del tutto, la politicizzazione delle carriere. Non vediamo un altro sistema che possa assicurare il risultato voluto.

Quindi due valutazioni diverse sulle due parti della riforma: totalmente negativo sulla prima, parzialmente positivo sulla seconda. Nell’insieme, un giudizio negativo sia per il peso delle due parti della riforma, sia per la nostra contrarietà all’intenzione – spesso alla vera e propria frenesia - che permea la maggior parte dei gruppi politici di mettere le mani nella Costituzione. Sbrindellare la Carta fondamentale significa rendere meno solidi i vincoli di cittadinanza e in definitiva meno solide le istituzioni. Le Costituzioni sono le basi dei sistemi politici. Se le si tratta alla stregua delle leggi ordinarie o quasi, si rischia di distruggerne il valore fondante. Che la destra oggi al governo possa non sentire alcun attaccamento alle norme nate all’indomani della dittatura e della Resistenza lo si capisce. E si capisce quindi la loro disponibilità a cambiare la Costituzione oggi per la giustizia, domani per la forma di governo e infine, chissà, magari anche per le norme della prima parte. La stessa disponibilità non sarebbe comprensibile da parte delle forze di centrosinistra.


23 luglio 2025


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