Da qualche mese, un’azienda privata (senza fini di lucro) Commons Project, con base a New York e guidata da un giovane intraprendente (Paul Meyer), emette «passaporti» vaccinali con codici a barra e dati sulla vaccinazione anti-Covid (quando effettuata, dove, con che farmaco, ecc.) che molti Paesi caraibici (soprattutto i più piccoli e più attraenti dal punto di vista turistico, come Aruba o St. Lucia) accettano come lasciapassare. Secondo Meyer, anche Cipro e la Grecia stanno entrando nel club di coloro che utilizzano il suo lasciapassare come dimostrazione che il turista in arrivo è “a prova di Covid”. Commons Project – precisa - svolge una funzione sociale che i Governi non sono stati in grado di assolvere: il pagamento del prezzo per il «lasciapassare» serve alla remunerazione di Meyer e dei suoi collaboratori, ma l’azienda è «no profit» e non ha alcun obiettivo di lucro.
Nell’Unione europea (Ue), si sta per varare il «passaporto vaccinale europeo» di cui potranno fruire tutti coloro che sono stati vaccinati con sieri accettati nell’Ue e che sono guariti dal virus oppure ancora che sono risultati negativi ad un test molecolare effettuato tre giorni prima della partenza. È un documento elegante, in plastica e con codice a barre. Non è certo, però, che sarà approvato dal Consiglio Europeo poiché alcuni Stati mostrano perplessità a delegare in effetti alla Commissione europea (che ha formulato la proposta) questo delicato compito: in materia di «privacy» le sensibilità differiscono. Inoltre, al Center for European Policy Studies di Bruxelles si sostiene che ci sarebbe una discriminazione implicita sino a quando il progresso delle vaccinazioni differisce in misura significativa tra gli Stati dell’Ue. L’Italia sostiene la proposta della Commissione europea.
Nel frattempo, la piccola Estonia ha varato il VaccineGuard: sugli smartphone dei cittadini, infatti, comparirà la notifica dell’avvenuta vaccinazione, da mostrare durante i controlli e – di conseguenza – da utilizzare quando verranno effettuati degli spostamenti, anche fuori dai confini nazionali. Sempre in Estonia, a breve, verrà introdotta anche la possibilità di caricare i risultati dei test Covid realizzati dal singolo utente, attraverso il sistema sanitario nazionale. La situazione della privacy è gestita senza creare database condivisi centralizzati o sistemi ERP, il singolo utente è monitorato da autenticazioni a due fatture e da un sistema che scorpora i dati anagrafici da quelli medici. Secondo Astrazeneca, che ha collaborato al progetto, potrebbe trattarsi di una vera e propria svolta per le industrie farmaceutiche. E potrebbe diventare il modello per tutta l’Ue.
In Italia, i certificati vaccinali vengono rilasciati online dalle Regioni secondo modalità giudicate più o meno complesse dai cittadini. Il decreto legge sulle riaperture (Decreto Legge n. 52/2021) prevede una «certificazione verde» o «green pass» di validità sino a sei mesi per gli spostamenti, in entrata e in uscita, dai territori collocati in zona arancione o rossa. Si prevedono misure per tutelare la «privacy» e falsificare il documento è un reato. Alcune Regioni hanno già messo la macchina operativa in moto: altre no. Il «green pass» avrà effetti quali quelli del «passaporto vaccinale europeo» od altro.
Comprensibile una buona dose d’improvvisazione in una fase come l’attuale in cui si spera di stare per uscire dalla pandemia e di riprendere le attività. Tuttavia, non è detto che i certificati vaccinali validi nell’Ue verranno accettati in Paesi extra-europei. Ci dovrà essere una rete di accordi bilaterali o multi-bilaterali. Altrimenti, alcuni Stati potrebbero non accettare i «pass» anche solamente perché nell’Ue non sono stati validati vaccini da loro sviluppati e prodotti.
Prima o poi si dovrà arrivare ad un sistema universalistico con vaccini validati internazionalmente e procedure anche esse universali per l’emissione dei certificati. C’è una prassi che ha funzionato per oltre sessanta anni: estendere al Covid 19, l’International certificate of vaccination or prophylaxis emesso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), o dai suoi delegati, per le vaccinazioni contro la febbre gialla, il colera, il vaiolo, il tetano ed altre malattie. La procedura è semplice: un libretto giallo in cartone di poche pagine, dove ciascuna vaccinazione è certificata da chi la esegue con la propria firma (e specificando i dati relativi al siero); lo si tiene nel passaporto o li esibisce quando si varca una frontiera. E vale in tutto il mondo. In Italia, e negli altri Stati non solo dell’Ue ma nei 194 dell’Oms, è già in vigore un sistema capillare di certificazioni che potrà essere utilizzato quando le vaccinazioni anti Covid 19 da evento straordinario diventeranno ordinaria a scadenza semestrale o annuale. Sino a quando non si arriva ad una vaccinazione unica (come per la febbre gialla, il colera, il vaiolo e simili) occorre definire un elenco di vaccini omologati a livello internazionale.
Oggi, l’Oms non gode di buona fama anche in quanto dominata dalla Repubblica Popolare Cinese. Gli Stati Uniti ne sono usciti. È un problema temporaneo: a metà degli Anni Ottanta, Usa e Gran Bretagna uscirono dall’Unesco sbattendo la porta e l’Organizzazione fece un forte ripensamento, dopo il quale Washington e Londra rientrarono. Occorre anche tenere presente che l’Italia è uno dei maggiori finanziatori dell’Oms e, se vuole, può avere voce in capitolo nella definizione dell’elenco dei vaccini anti Covi da considerare validi al fine di viaggi internazionali.
Bagehot
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