Lettera da Parigi
“Riprenderò presto il bordone del pellegrino”, aveva dichiarato qualche settimana fa il Presidente Macron, suscitando qualche interrogativo e non poche aspettative nei media e nella pubblica opinione. Chi si attendeva una esplicita conferma di una sua “ricandidatura” è rimasto per ora a bocca asciutta e persino i sondaggisti più avventurosi trincerano i dati che vanno via via elaborando dietro la riserva e le condizionalità che il “suspense” del tanto atteso annuncio formale di una seconda discesa in campo continua ad imporre.
L’intenzione del Presidente in carica di brigare il secondo mandato ed una sua pubblica dichiarazione in tal senso avranno, infatti, secondo esperti ed opinionisti di ogni tendenza politica, un effetto determinante per tarare l’attendibilità delle rilevazioni statistiche e per precisare gli studi comparati degli scenari possibili al primo ed al secondo turno nel maggio prossimo. Nelle proiezioni puramente teoriche finora elaborate, un Macron-bis rimane stabilmente in testa rispetto a Marine Le Pen, anche se con margini molto meno ampi di quelli del 2017.
Né le precisazioni che lo stesso Presidente ha fornito sul suo prossimo “peregrinare” in lungo e in largo nell’Esagono hanno contribuito a fugare del tutto quel punto interrogativo che ancora plana sulle sue reali intenzioni. Egli ha infatti sottolineato che si propone di riprendere il dialogo diretto con i suoi concittadini per illustrare loro il “plan de relance” economico-sociale e la sua progressiva evoluzione: non solo per tastare il polso della pubblica opinione sulle misure (di per sé considerevoli e tempestive) già adottate; quanto piuttosto per indicare gli ulteriori provvedimenti che il Governo va pianificando, anche in virtù del ricorso ai fondi europei, compresa la graduale attenuazione del “whatever it takes” di marca francese fino al suo superamento, in una progressione “assistita” di qui alla fine dell’estate con ulteriori stanziamenti di circa quindici miliardi in deficit. Ed infine, per essere all’ascolto delle istanze e delle richieste provenienti dalle molteplici realtà territoriali.
Sul piano del metodo, è convinzione ampiamente diffusa che Macron vorrà ricorrere alla già rodata formula degli scambi diretti con varie categorie di uditori urbani e rurali accuratamente selezionati per ceto e per età, amplificata da un attenta e ben orchestrata campagna di comunicazione su ogni supporto mediatico; la formula, in buona sostanza, che lo aveva visto lanciare nel 2017 la sua corsa vincente all’Eliseo e che aveva poi replicato con il “grand débat” nell’ultimo scorcio del 2020 – con il “panache” aggiuntivo dell’ufficialità presidenziale – per arginare le ricadute sociali e politiche del drammatico trimestre dei Gilets Jaunes.
L’agenda del Presidente si arricchisce di ora in ora di appuntamenti in provincia, all’estero e nella Capitale. Risponde duttilmente tanto alla promessa di un nuovo “pellegrinaggio”, quanto alle occasioni e agli spunti che l’attualità gli fornisce (o in alcuni casi gli impone): e le scelte di luoghi e di specifiche platee sembrano tener conto delle priorità che vanno precisandosi, grazie anche alla dinamica innescata dalla campagna elettorale per le Regionali entrata oramai nel vivo. Non solo sul piano delle tematiche in cima alle aspirazioni o alle doglianze dei francesi, ma anche per riscontrare quella generale domanda di superamento della fase di disagio profondo della società, quasi uno smarrimento generalizzato, che a sua volta si declina secondo il segno generazionale, economico, sociale.
Il mal di vivere francese, superata la forma specifica della protesta popolare innescata dai Gilets gialli – più una “jacquerie” che una rivoluzione vera e propria – ha assunto oramai un profilo endemico e diffuso, oggetto di preoccupate analisi di politologi e di sociologi che vi ravvisano un’autentica crisi di identità della società francese. Essa avverte confusamente una costante erosione dei suoi valori fondanti e dei suoi consolidati riferimenti storici, etici e culturali. Sul fronte della politica, questo stato d’animo si traduce in una crescente, generale perdita di fiducia – accompagnata da progressiva indifferenza – per le istituzioni e per la stessa essenza della democrazia, di cui colgono spregiudicatamente il destro i radicalismi e le fazioni.
Sorprendendo un po’ tutti, e dopo il primo dei suoi spostamenti in provincia (qui detti i déplacements presidentiels) a Montpellier, Macron ha deciso di far coincidere con il palpabile rasserenamento del clima generale e le prime riaperture dei luoghi della cultura, alcuni “affondi” mediatici mirati, soprattutto all'attenzione delle più giovani generazioni.
Ha compiuto una rapida visita a Nevers, accompagnato dalla Ministra della Cultura, la molto popolare ex gollista Roselyne Bachelot, e vi ha annunciato alcune misure destinate ai giovani, in particolare quella di un “pass-cultura” per i diciottenni, sulle linee di una promessa, sinora non mantenuta, della campagna elettorale del 2017 e apertamente ispirata, per ammissione dello stesso Macron, a idee di origine … transalpina.
Più ancora della sostanza, ha colpito la sua scelta di irrompere, con giovanile naturalezza, ad un concerto di musica Rap che celebrava la stagione della riapertura, affollato di un pubblico per lo più di adolescenti rigorosamente “in mascherina” che, superata la meraviglia di ritrovarsi di fronte il Presidente in carne ed ossa, lo ha accolto calorosamente e gli ha reclamato un discorso, prontamente concesso ed applaudito.
Rientrato a Parigi, tra il colloquio con il Presidente egiziano Al Sisi (alla vigilia della tregua a Gaza), la partecipazione a Bruxelles al Consiglio Europeo straordinario del 23 e24 maggio, e la storica visita in Ruanda, Macron ha ricevuto all’Eliseo… il duo McFly e Carlito, due Youtubers popolarissimi in Francia, per una chiacchierata informale – quasi un siparietto di “varietà” televisiva - sui temi dell’attualità sportiva e musicale: il video che ne è risultato ha superato in un giorno i sette milioni di visualizzazioni su Internet (naviga oramai su crescenti numeri milionari a due cifre) e sembra essere stato gradito soprattutto ai giovani che hanno apprezzato la vivacità e la… competenza del Presidente in campi a loro particolarmente vicini. Macron ha abbordato con spontaneità materie quali il tifo calcistico o l’heavy metal, in stridente contrasto con gli ori dell’Eliseo e della Legion d’Onore che brillava all’occhiello del suo completo, stavolta di un inusuale grigio chiaro.
Le critiche scandalizzate dei suoi antagonisti e le aperte accuse di aver violato la sacralità della suprema magistratura non si sono naturalmente fatte attendere; ma si sono scontrate subito con i “ritorni” di sondaggi molto favorevoli da parte dei veri destinatari, i giovani “primo-votanti”, presso i quali il Presidente va cercando di far breccia, per distoglierli dall’attrazione fatale dei radicalismi e per convincerli di essere ben lontano da quel profilo altero e distante che gli viene solitamente attribuito. I più anziani, del resto, ricordano precedenti analoghi, come le irruzioni domenicali di Giscard d’Estaing nei tinelli della “middle class” per familiarizzare con gli elettori, o l’immagine dell’austero Mitterrand a colloquio con un celebre presentatore televisivo accoccolato sulla sua scrivania. Ma, a quei tempi, la diffusione di tali immagini si limitava ai numeri relativamente esigui degli schermi televisivi.
Le mosse di Macron e della sua efficace macchina della comunicazione meritano qualche ulteriore commento: come hanno rilevato alcuni opinionisti, il Presidente – con il suo fiuto politico – non tralascia i sondaggi, ma li analizza e li anticipa con chiaroveggenza. Se Marine Le Pen è oggi nettamente vincente presso le generazioni dello scontento, in particolare la fascia dei 25/35enni, disoccupati o a reddito medio-basso, i più giovani aspirano ancora ad un mondo loro congeniale e più ricco di favorevoli auspici e mutamenti: si tratta, allora, di consolidarne gli orientamenti e offrire una alternativa che sia ai loro occhi più credibile e praticabile.
Al tempo stesso, a Macron e ai suoi “Marcheurs” non sfugge che anche a sinistra esistono tuttora, proprio in virtù della disaggregazione delle sue tante componenti, spazi percorribili di conquista o di riconversione. È il caso, per esempio, della situazione attuale nella regione Paca, dove l’ipotesi di una vittoria del “Rassemblement National” si concretizza anche al secondo turno, a meno che – come si era già verificato nella precedente consultazione – la lista socialista non scelga la desistenza al secondo turno, rinunciando a contare su propri consiglieri regionali ma convergendo di nuovo nel patto repubblicano di sbarramento alla destra radicale. In questa direzione, giocano fattori quali i tentennamenti, o in alcuni casi l’aperta contestazione della linea ufficiale del partito socialista da parte di figure di peso (come gli ex-Ministri di Hollande, Remsamem e Le Foll), l’avversione ad un salto nel buio non solo ideologico ma anche della governance economica, nutrita dai principali amministratori locali - i sindaci gollisti di Tolone e Nizza ma anche il primo cittadino socialista di Marsiglia, la seconda città dell’Esagono - in una regione che produce una quota di Pil doppia di quella nazionale del Lussemburgo. A questi interlocutori si rivolge fin da questa fase lo stesso Macron, parlando alla Nazione con il “cuore che batte a sinistra”, quando affronta direttamente tematiche culturali e sociali alle quali la Gauche – pur nella sua diffidenza ancora predominante – non può rimanere del tutto indifferente.
Le più recenti iniziative presidenziali sembrano seguire questo orientamento e completare il mosaico di una vera e propria pre-campagna per le presidenziali. A temperare la sorpresa suscitata dalle sue originali incursioni in inusuali ed inesplorati territori mediatici giovanili, Macron ha affidato a Zadig (il titolo apertamente voltairiano scelto per la rivista culturale mensile fondata da Eric Fottorino, già direttore di Le Monde) una lunga intervista-confessione in cui ha spaziato sulla sua formazione culturale, sul suo amore per la Francia, sulla crisi di civiltà attraversata dalla società francese, che ha paragonato ad un tardo Medioevo in procinto, però, di dischiudere le porte ad un nuovo Rinascimento.
In tal modo, egli va delineando la piattaforma di una sua seconda campagna presidenziale, volta non tanto ad illustrare una elencazione di programmi e riforme, ma soprattutto a mobilitare nuovamente intorno alla politica e al funzionamento della democrazia un Paese frastornato e malmostoso. Senza tralasciare la questione dell’indifferenza, foriera di un pericoloso aumento delle astensioni.
Subito dopo è volato a Kigali, e vi ha pronunciato un discorso di riconciliazione con il principale Paese francofono dell’Africa Occidentale, a chiusura delle polemiche che le scelte mitterrandiane di venticinque anni fa a danno della minoranza tutsi avevano suscitato.
Insieme all’enfasi riservata dallo stesso Macron a Bruxelles (nella conferenza stampa di fine vertice), alle prime intese con il Presidente Draghi sulle questioni della crisi libica e sulla spinosa questione migratoria nel Mediterraneo, il discorso di Kigali si è tradotto in un vero e proprio manifesto della futura politica francese (e auspicabilmente europea) nei confronti del Continente africano. L’eco mediatica sinora riscontrata nella sua ampiezza sembra confermare l’apprezzamento che i francesi nutrono per l’audacia e anche per il posato equilibrio con i quali il Presidente affronta le grandi ferite ancora aperte del passato, perseguendo un loro superamento costruttivo ma anche una messa a punto imparziale ed illuminata della verità storica.
Il “pellegrinaggio” prosegue e spazia oramai dal dialogo diretto con i cittadini sino ai grandi temi dell’attualità interazionale: l’Emmanuel Macron in marcia nel 2017 è oggi il Presidente della Repubblica che si affaccia, nel suo ultimo anno di mandato, all’era nuova del dopo-pandemia, del rilancio economico-sociale, della riaffermazione della solidità e della coesione della società francese: è difficile immaginare oggi ad una sua rinuncia, tanto che qui ci si riferisce sempre di più a lui come il Presidente quasi-candidato.
l’Abate Galiani
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