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Viva la Cassa per il Mezzogiorno, o forse no

Ieri il presidente del Consiglio ha partecipato a un convegno web organizzato dalla Associazione Merita sulla Cassa per il Mezzogiorno a settant’anni dalla sua istituzione. L’impressione è che quella che poteva essere una buona occasione per collegarsi idealmente a un momento positivo per la vita politica italiana - gli anni di De Gasperi – abbia finito per far venire alla luce le molte contraddizioni politiche e programmatiche che esistono in seno al governo ed alla maggioranza per ciò che attiene all’utilizzazione del New Generation UE.

Quando infatti dalle rievocazioni si è passati al giorno d’oggi, cioè al Next Generation EU, come del resto era evidente data la partecipazione al convegno dei due commissari europei e date anche le domande dei due giornalisti che conducevano l’incontro, il presidente del Consiglio non è riuscito in alcun modo a chiarire la posizione del governo.

Conte ha dovuto collegare le due vicende: la creazione di uno strumento straordinario nel 1950 e le scelte attuali per il Piano italiano. E qui sono emerse le difficoltà. Perché in primo luogo egli avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali, per affrontare la grande mole di finanziamenti che oggi l’Europa ci mette a disposizione, il governo non pensi di scegliere il modello della Cassa per il Mezzogiorno. Perché non prendere esempio da un’esperienza che tutti i presenti, lui incluso, giudicavano positivamente? Perché non immaginare uno strumento apposito, come fu la Cassa, per realizzare il Piano italiano?

In realtà, come abbiamo scritto molte volte in questi mesi, la scelta politica fondamentale che il governo (e il Parlamento) debbono fare è questa: il piano di utilizzo italiano dei fondi europei sarà affidato per la sua realizzazione a un ente apposito che riceva i finanziamenti dall’Europa, predisponga i singoli progetti in cui si concretizzano gli indirizzi politici generali fissati dal governo e provveda ad “appaltare” i lavori per la realizzazione del Piano? Oppure, in alternativa, si raccolgono e si coordinano i progetti presentati da tutte le amministrazioni pubbliche centrali e periferiche che hanno titoli a presentarli e poi, una volta approvati i loro piani, si assegnano loro le risorse con le quali essi affidino i lavori e realizzino i progetti?

Questo è il problema. Data una risposta su questo punto, il resto ne discende. Noi siamo convinti che la risposta razionale non possa che essere: una stazione appaltante, costituita in via straordinaria per un tempo limitato eguale a quello del piano europeo, affidata a una personalità che per le sue caratteristiche professionali e personali garantisca un dialogo con l’Europa e possa organizzare efficacemente questo lavoro.

Il governo sembra aver compiuto la scelta delle molte stazioni appaltanti.

Ma essa non è stata mai né formulata esplicitamente, né motivata. Nello stesso tempo il presidente del Consiglio celebra la saggezza degasperiana di avere istituito a suo tempo la Cassa per il Mezzogiorno.

Le difficoltà politiche di questi giorni sembrano allora aver avuto l’effetto di un corto circuito. Conte ha dato per scontato che le stazioni appaltanti saranno molte, ma sa che questa molteplicità impone una qualche forma di coordinamento, anche perché sicuramente è quello che si aspetta l’Europa, o almeno quello che la Presidenza del Consiglio qualche giorno fa ha fatto sapere che l’Europa chiede. Ma Renzi (e non da solo) è sembrato attaccare l’idea di una interferenza centrale nei confronti delle stazioni appaltanti. E allora ieri Conte ha dovuto dichiarare che «non è pensabile che a questa struttura di monitoraggio si possano attribuire espropriazioni dei poteri dei soggetti attuatori. Il piano sarà un piano nazionale, non ci sarà una concezione padronale, non sarà gestito con arbitrarietà».

Così però il governo nel cercare di venire incontro a Renzi (ma in realtà Conte non sa davvero che cosa voglia da lui Renzi e non è detto che riuscirà a saperlo né nell’incontro fra le delegazioni, né nell’incontro a quattr’occhi di cui si legge sui giornali di oggi), si allontana dall’Europa, che certamente vuole che i progetti siano coordinati per garantirne la realizzazione in tempi certi. E allora il tema è tornato nelle successive parole del presidente del Consiglio, il quale ha detto: «C’è una discussione, ci sono osservazioni anche critiche che vanno benissimo. L’importante è che qualunque strada si scelga, offra la garanzia di semplificazione e accurato monitoraggio in modo da poter intervenire in caso di ritardo e assicurare tempi certi. Sprecare un solo euro sarebbe delittuoso».

Dunque monitoraggio, ma non solo: se il monitoraggio dovesse rivelare dei ritardi, allora occorrerebbe prevedere poteri sostitutivi. Dunque le stazioni appaltanti sono libere, ma solo se fanno bene il loro mestiere. Ma chi lo giudicherà e soprattutto quando lo si giudicherà? È difficile pensare che i poteri sostitutivi vengano esercitati fin dal primo giorno. Dovrà esservi una evidenza di ritardi perché il centro si sostituisca alle stazioni appaltanti. Quindi sarà il ritardo maturato la ragione del passaggio dei poteri. Cioè, se il nostro ragionamento non è sbagliato, il Piano italiano sconta già dei ritardi.

Ricapitoliamo. Il governo ieri ha lodato l’esperienza della Cassa per l’intervento straordinario, cioè la strada della stazione appaltante unica e contemporaneamente, in quella stessa sede, ha detto che adotterà il modello opposto; ha spiegato che non è in grado politicamente di creare una forte cabina di regia che imponga alle stazioni appaltanti di procedere presto e bene, ma ha aggiunto che cercherà almeno di monitorare quello che succede. A noi sembra che questa sia una descrizione oggettiva di uno stato confusionale in seno al governo e alla maggioranza. Se questa confusione permane, il rischio di compromettere il rapporto con l’Europa è concreto.

Visto che il presidente del Consiglio pensa a un passaggio parlamentare, non crede che il primo punto su cui il governo dovrebbe proporre e il Parlamento decidere sia la risposta alla domanda sul numero delle stazioni appaltanti alle quali è affidato il Piano italiano? Una volta presa una decisione meditata su questo punto, il resto segue. E la risposta è lo strumento unico e temporaneo. Se ne renda conto il presidente del Consiglio prima che sia troppo tardi.


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