Dall'esame dei dati raccolti nelle recenti elezioni europee mi era sembrato di cogliere un primo sintomo di difficoltà per il partito della presidente del Consiglio, al di là dell’apparente successo costituito dall’aumento percentuale dei voti. Era da attendersi, infatti, che, avendo avuto per sé la ribalta interna ed internazionale dall'autunno del 2022 fino a ieri, l’on. Meloni avrebbe raccolto un accresciuto numero di consensi, come era avvenuto in circostanze sostanzialmente analoghe alle sue a Matteo Renzi nel 2014 e a Matteo Salvini nel 2019. Le elezioni europee, così poco legate a fattori territoriali come sono invece le elezioni locali, sono un indicatore della popolarità dei leader. E la forte personalizzazione della campagna elettorale di Giorgia Meloni, la sua stessa candidatura in tutte le circoscrizioni e l'invito a darle la preferenza usando il solo nome di battesimo, facevano pensare che la presidente del Consiglio mirasse a un risultato che andasse molto oltre il già notevole consenso ottenuto nelle elezioni del 2022 e pensasse di poterlo raggiungere.
Questo non è avvenuto. Anzi, ci sono molte cose che non hanno funzionato per i Fratelli d’Italia. La prima è che i suoi due partiti alleati, che erano in un certo senso candidati a perdere voti, visto il ruolo residuale nella vita e nell'azione di governo che è stato riservato loro in questi due anni, hanno conservato le percentuali precedenti. Ciò significa che d’ora in avanti saranno meno remissivi che in passato, accrescendo le difficoltà dell’esecutivo. La seconda è che dalle macerie dell’opposizione si sono sollevate non una ma ben due forze, i Verdi e soprattutto il PD: ambedue hanno guadagnato in voti e in percentuale, mentre Fratelli d’Italia ha guadagnato in percentuale, ma ha perso 700.000 voti, che è circa il 10% di quanto aveva ricevuto nel 2022. Per quanto si siano ostinati ad argomentare alcuni commentatori particolarmente ben disposti, il rafforzamento di Meloni nel voto europeo rimane solo un’impressione generata dalla flessione del numero dei votanti. Appare invece evidente che il consenso nei suoi confronti, dopo aver raggiunto il massimo, ha mostrato in occasione delle Europee i primi segni di cedimento. Tanto più significativo è questo fatto proprio in relazione all’impegno straordinario profuso dalla Meloni con la candidatura in tutti i collegi europei.
I risultati delle elezioni municipali e dei ballottaggi conclusi ieri confermano queste valutazioni. Pur con la cautela dovuta all'esistenza di tanti fattori locali, si può dire che è iniziata la curva discendente del favore degli italiani per la destra al governo. Naturalmente una diminuzione tendenziale può essere interrotta e addirittura invertita, ma per farlo la premier e i suoi alleati dovrebbero ragionare su ciò che non ha funzionato e su ciò che potrebbe funzionare in futuro. Su questo non vediamo ancora una riflessione.
Per quello che possiamo comprendere, a noi sembra che tre siano le ragioni dell’appannamento dell’on. Meloni. Il primo è l'inconsistenza dell'azione dell’esecutivo. Non c’è un solo campo fra quelli che ne avevano favorito l’ascesa, in cui l’on. Meloni possa dire di avere svolto una significativa azione di governo. Sul freno all’immigrazione clandestina e sulla pretesa di ottenere maggiore solidarietà dall’Europa, non c’è alcun risultato visibile. Non c’è neppure più la parvenza di una iniziativa. Alla fine, resta solo l’accordo minuscolo con l’Albania per la gestione di un migliaio di emigranti per volta e le promesse del cosiddetto piano Mattei che dovrebbe talmente incrementare le prospettive di sviluppo dei Paesi dell’Africa da scoraggiare le migrazioni verso l’Europa. Un po’ poco per soddisfare un elettorato conquistato dalla promessa di una inflessibilità.
Sulle questioni economiche vi sono stati impegni mirabolanti di sgravi fiscali fatti negli scorsi anni, ma rimasti sostanzialmente sulla carta: si dirà che i vincoli di bilancio sono quelli che sono, ma anche le promesse sono quelle che sono e chi le fa dall'opposizione senza tener conto dei vincoli di bilancio, rischia di deludere gli elettori quando si sia visto promuovere a responsabilità di governo grazie all'impatto elettorale di quelle promesse.
La terza ragione è l'Europa. Qui non sono ancora emerse in tutta evidenza le difficoltà nelle quali si trova la signora Meloni, ma è chiaro che le rassicurazioni su un’iniziativa che a Bruxelles avrebbe cambiato il ruolo e il peso dell’Italia, ne avrebbe fatto il Paese guida di politiche che avrebbero restituito capacità decisionale e sovranità agli Stati, non si sono concretizzate in nulla. Si è visto, invece, in questi due anni, un governo sostanzialmente allineato alle tradizionali posizioni europee dei governi italiani. Poco male, anzi giusto, per chi sostiene da sempre la linea di una propositiva e fattiva collaborazione con i partner dell’Ue in una prospettiva sovranazionale. Molte delusioni, invece, per chi aveva raccolto consensi spingendosi fino a promettere un’Italia che avrebbe cambiato il volto all’Europa.
Ora questo problema è destinato ad aggravarsi e diventa lacerante per l'on. Meloni, alle prese con la difficoltà di trovare per sé un posto che le dia visibilità nei gruppi della destra europea. La questione è questa: se mantiene la sua identità politica, deve allinearsi con il vasto movimento conservatore che ha nella signora Le Pen l'esponente più importante e prestigioso, e così condanna sé stessa a un ruolo marginale e nello stesso tempo indebolisce l'Italia in Europa; rischia oltretutto di vedersi bocciare in Parlamento i candidati italiani per il posto di commissario.
D’altra parte, se per salvare il salvabile della posizione dell'Italia, Meloni si allinea alla rielezione di Ursula von der Leyen, presta il fianco alle polemiche della Le Pen e dell'on. Salvini, senza neppure poter dire che in cambio ha ottenuto chi sa che cosa. Infatti, finché vi sarà un’alleanza fra popolari socialisti e liberali, i consensi provenienti da gruppi come Fratelli d’Italia potranno essere considerati indispensabili, potranno anche essere incoraggiati, ma non potranno mai assurgere a nuovi orientamenti politici. La frase “saremo determinanti in Europa” non può essere pronunciata dalla Meloni se non per far saltare l’accordo fra le tre principali famiglie europee, le quali però sanno che l’unico modo per governare l’Europa è la loro intesa, cui non verranno meno. Insomma, il bivio per la nostra presidente del Consiglio è avere poco dall'Europa in cambio di un oscuramento della sua politica; oppure avere nulla dall'Europa per condividere con Marine Le Pen la leadership dell'estrema destra.
Gli elettori hanno compreso tutto questo e cominciano ad allontanarsi? È presto per dirlo, ma l’on. Meloni dovrà mettere in campo una grande abilità politica se vorrà uscire da questi dilemmi. Ha dei buoni consiglieri che l'aiutino in questa riflessione? È lei stessa in grado di immaginare una strada? Lo vedremo. Di sicuro, Meloni sembra ormai aver capito che in queste condizioni, con alleati come Tajani e Salvini che certo non le sono grati per le prepotenze di questi anni, e con una opposizione rafforzata, il referendum sul premierato è più perso che vinto. Il saggio on. Crosetto le ha già giustamente suggerito di rallentare il cammino parlamentare di questa riforma e di mandare avanti altre questioni. Vedremo già nei prossimi giorni, appena superate le strettoie europee, quale sarà la decisione della presidente del Consiglio.
Giorgio La Malfa
25 giugno 2024
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