Lettera da Berlino
Sulla strada verso un nuovo governo in Germania, dopo le elezioni di domenica 26 settembre, si raccoglie una miriade di impressioni, mille pezzi di un caleidoscopio. Non disponiamo ancora di un quadro ben delineato. Nella capitale prevale la convinzione che ci vorrà del tempo; tutti sono preparati ad un processo plurisettimanale per arrivare ad un nuovo cancelliere.
Tuttavia, alcune componenti della situazione sembrano chiare. Nell’ultima “Lettera da Berlino” avevamo citato il saggio Crollo di un Potere (Machtverfall), l’analisi del declino del partito democristiano. In effetti, la prognosi dell'autore, il giornalista Robin Alexander del quotidiano berlinese Die Welt, si è avverata. C’è in Germania chi, alla domanda “ma come mai?”, risponde che le ragioni sono quattro: Merkel e poi Merkel e poi ancora Merkel, e infine Laschet. Traduzione: Merkel è stata fortissima (troppo forte) come cancelliera, ottima per l’Europa ma assai problematica per il proprio partito, e il candidato successore Armin Laschet appariva un compromesso. Al contempo il partito “sorella” - i cristianosociali in Baviera (CSU) - ha fatto di tutto, con il suo continuo “punzecchiare”, per dimostrarsi una “sorellastra”, negando a Laschet sostegno e lealtà. Complessivamente, i democristiani si erano a tal punto “socialdemocratizzati” che il cittadino elettore alla fine ha preferito scegliere l’originale anziché la copia. “The mess Merkel leaves behind”, ha titolato The Economist dando voce ad una amara convinzione degli stessi democristiani.
Si è così persa anche l’occasione storica di una coalizione di governo federale nero-verde, ossia dell’Unione democristiana con i Verdi, auspicata da tanti non solo nei due partiti coinvolti.
Il pessimo risultato dell’Unione dei democratici cristiani rappresenta una novità nella storia tedesca, così come il fatto che la Germania si stia muovendo verso una coalizione di governo composta da tre partiti politici: una molto “große Koalition” che dovrà eleggere il nuovo cancelliere. I tedeschi stanno assistendo ad una (ri)parlamentarizzazione della politica federale. Stanno (faticosamente) imparando che il loro voto non porta più automaticamente alla nomina del cancelliere, perché a deciderla saranno l’aritmetica e le trattative partitiche.
Christiane Liermann Traniello
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