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La fragile Germania del dopo Merkel

Lettera da Berlino


In Germania il giorno di San Nicola, 6 dicembre, tradizionalmente è una specie di mini-befana: il santo vescovo di Bari porta dei regali ai bambini. Quest’anno per i tedeschi il regalo in occasione dell’onomastico del santo sarà il nuovo governo, stando alle promesse di Olaf Scholz verosimilmente prossimo cancelliere della Repubblica federale. Goodbye, Merkel, hello, Scholz! Questo passaggio che per molti versi merita la definizione di “epocale” si svolge tuttavia all’ombra della quarta ondata della pandemia che coglie la Germania impreparata riguardo infrastrutture e consapevolezza dei cittadini, in più in una fase senza leadership. Le conseguenze sono caotiche e drammatiche. Il paese dà di sé un’immagine scoraggiante e appare scoraggiato. L’appello allo spirito di solidarietà nazionale divenuto leggendario di Angela Merkel “ce la faremo!” (in merito agli arrivi migratori del 2015) sembra appartenere ad una cultura pubblica ormai molto lontana.


Sui quotidiani tedeschi il tema del cambio di governo ha dovuto cedere il primo posto al virus. Ma è naturalmente presente. La Germania avrà un governo detto “semaforo”, con socialdemocratici (rosso), liberali (giallo) e Verdi (verde). Stranamente il partito socialdemocratico SPD non ha rifiutato la metafora del semaforo anche se la luce rossa sta per l’obbligo di fermarsi. Al contrario la nuova coalizione di governo si è data la parola d’ordine “Osare più progresso!”


Mentre i Liberali si schierano compatti intorno al proprio leader, il futuro ministro delle finanze Christian Lindner, negli altri due partiti del nuovo governo la concorrenza interna riguardo incarichi e posti politici di peso da ottenere, ha portato a galla tensioni e conflitti assopiti durante la campagna elettorale. Per lungo tempo Olaf Scholz non fu il candidato cancelliere preferito dalla gioventù socialdemocratica (“Jusos”) e dall’ala sinistra del proprio partito. C’era e c’è chi lo vede compromesso da lunghi anni di Grosse Koalition con i democristiani di Angela Merkel. Ora con l’inaudito numero di 49 deputati i Giovani Socialisti sono entrati a far parte del nuovo Bundestag. È certamente un’entità in grado di condizionare i movimenti politici del futuro cancelliere Scholz proprio nei confronti dei partners liberali attaccati dalle giovani leve della Sinistra per la loro fedeltà all’idea del libero mercato.

Anche presso i Verdi il momento della distribuzione delle poltrone ministeriali ha fatto scoppiare un’annosa rivalità: quella tra “Realos” (realisti) e “Fundis” (fondamentalisti), forse anche in conseguenza del fatto che il conferimento delle cariche governative verdi sembra aver seguito una logica più aritmetica e di “premiazione” che di competenze. La base del partito, di tendenze più radicali del gruppo dirigente, ha tentato una miniribellione contro la nomina di Cem Özdemir a ministro per l’agricoltura. Ma ci voleva almeno una persona dotata di ciò che i tedeschi chiamano “sfondo biografico migratorio”. In più Özedemir, di genitori turchi, è un arci-realpolitico del Baden-Württemberg dove molti lo avrebbero voluto come capo del ministero federale per gli affari esteri, posto però promesso a Annalena Baerbock, già candidata cancelliera dei Verdi. Rossi e Verdi dovranno dunque fare i conti con le proprie basi contente sì di essere arrivate al potere, ma non soddisfatte per i compromessi codificati nel “trattato della coalizione al governo” che in questa combinazione di colori rappresenta una novità nella storia della Repubblica federale.


Dunque assistiamo piuttosto ad una rottura o a continuità? Un mix, direi. Solide come ai tempi di Merkel sono le convinzioni europeiste del governo tripartitico; nel settore del welfare si cercherà di rafforzare la lotta contro le disuguaglianze sociali (alzando notevolmente il salario minimo obbligatorio). Investimenti immani richiede la trasformazione energetica, pilastro dell’agenda politica. Su come trovare i finanziamenti necessari il “trattato governativo” resta vago. Tale vaghezza, che evidentemente non esclude nuovi debiti, potrebbe essere un segnale di speranza per le “colombe” tra i partners europei che con un ministro delle finanze liberale vedevano già ripresentarsi il proprio incubo dell’austerità.


Christiane Liermann Traniello


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