L’on. Almirante prendeva la parola in aula da un banco posto a metà dell’estremo settore di destra. Quando si alzava per parlare, si poteva agevolmente prevedere che nel corso del suo intervento avrebbe chiesto di sciogliere le Camere e di indire al più presto le elezioni politiche anticipate. Le chiedeva se la maggioranza parlamentare appariva solcata da divisioni, ma anche se era coesa; se a preoccupare era la condizione dell’ordine pubblico, ma anche se regnava la pace sociale, ma a preoccupare era l’economia. Insomma, elezioni subito sembravano l’unica parola d’ordine, l’unico programma concreto, l’unica speranza offerta ai propri militanti.
In questa fase, quando prende la parola, la leader dei Fratelli d’Italia, on. Meloni, non manca mai di invocare lo scioglimento delle Camere. Tono e linguaggio sono assai meno forbiti di quelli dell’on. Almirante, ma la sostanza è in perfetta continuità con il padre ed ispiratore del suo movimento. Questa tematica acquista tanto più risalto dal momento che le altre due forze dell’opposizione di destra, la Lega e Forza Italia, sono assai meno ciarliere in tema di elezioni anticipate: ne parla poco l’on. Salvini; non ne parla affatto Forza Italia.
In questa richiesta di elezioni anticipate da parte dei Fratelli d’Italia, oltre al richiamo della foresta, potrebbe esservi in questo momento un calcolo non privo di astuzia. Se si votasse presto, il leader della destra sarebbe Matteo Salvini. Non potrebbero opporvisi né la Meloni, né Berlusconi. E se la destra vincesse, sarebbe Salvini il nuovo capo del Governo circondato da brillanti consiglieri economici che propongono l’uscita dell’Italia dall’euro e da governatori che aspirano a una autonomia sempre più accentuata delle regioni del Nord.
Ma vincerebbe oggi la destra le elezioni con queste premesse? Gli imprenditori e le partite IVA del Nord sarebbero disponibili a rompere con l’Europa nel momento in cui essa è la nostra unica ancora di salvezza? Gli elettori del Sud sarebbero disponibili a votare contro il loro interesse di ottenere l’aiuto dell’Europa e di non vedersi ulteriormente penalizzati dalle regioni del Nord? E la signora Merkel se la sentirebbe di battersi per un’Italia che non avrebbe più la faccia di Conte e di Gualtieri ma quella di Salvini, Meloni, Borghi e Bagnai?
Forse l’on. Meloni si sta chiedendo se dopo un’elezione perduta da leader della destra, l’on. Salvini avrebbe ancora diritto a un altro giro o avrebbe invece ballato (inutilmente) per una sola estate (o due se si considera anche quella adriatico – caraibica del 2019)?
Questo dubbio, e questa tentazione di andare presto ad elezioni politiche, comincia a circolare, come racconta oggi sul Corriere della Sera Francesco Verderami, anche in settori non proprio secondari della maggioranza, a partire dagli entourage del Presidente del Consiglio e del segretario del Pd.
Certo, il potere di scioglimento è prerogativa esclusiva del Capo dello Stato, che prima di chiudere anticipatamente la legislatura ha il dovere di accertare se esista la possibilità di costituire un governo che abbia la fiducia del Parlamento. Altrettanto certo è che i parlamentari in carica guardino sempre malvolentieri alla prospettiva di andare a casa prima del tempo.
Tuttavia, poiché sul capo dei membri del Parlamento pende questa volta anche il referendum sul taglio dei parlamentari che comporterebbe la riduzione di un terzo del loro numero, e poiché eventuali elezioni anticipate porterebbero ad un rinvio di un anno del referendum, è possibile che il Presidente della Repubblica si troverebbe a registrare l’inesistenza delle condizioni previste per il varo di un esecutivo in grado di avere la fiducia e di consentire quindi alla legislatura di proseguire.
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