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Happy Fourth!


Lettera da Washington


Buon compleanno, America!

Gli americani si scambiano auguri per il 4 luglio, l’anniversario della festa nazionale, il che può sorprendere noi europei, ma nasconde una sua saggezza. Non è scontato che il compleanno di una nazione sia sempre una scadenza lieta; ma basta solo riflettere un po’ per vedere come la storia recente - anzi quella ancora in corso - giustifichi in questi giorni un certo spirito celebrativo.

Un anno fa la scena era dominata da un’incerta prospettiva elettorale. Un numero spropositato di candidati contendeva dal centro e dalla sinistra la poltrona a Trump, ma ancora non si vedeva un campione. Lo stesso Biden aveva avuto una partenza lenta e solo con le primarie della Carolina del Sud e con lo spettacolare appoggio dei Democratici di colore aveva raccolto un seguito sufficiente per apparire un candidato plausibile. Ma non avrebbe vinto a novembre senza l’aiuto involontario di Trump che, noncurante della tragedia causata dalla pandemia, da un lato agitava forze inquietanti e dall’altro cercava di accreditarsi come il solo capace di contenerle.

Tutto ciò fin quando il Paese ha cominciato ad avere paura non solo del virus, ma anche di chi doveva guidarli contro di esso. Il ricovero del Presidente, evacuato d’urgenza dalla Casa Bianca con l’elicottero dei Marines, ha fatto comprendere all’America che la malattia che aveva colpito il comandante in capo era assai più grave di quanto si lasciasse intendere (come ora è stato confermato); e ciascuno ha fatto la privata riflessione che, se fosse capitato a sé o ai suoi, non ci sarebbero stati i Marines per salvarli.

L’America che vediamo oggi è già diversa, ma la transizione tra quella del recente passato e quella che sta prendendo forma è tutt’altro che completa.

La sua espressione politica non è arrivata ad un nuovo equilibrio. Le forze che hanno trovato espressione con Trump esistono ancora e quelle che vi si oppongono sembrano ancora unite solo dalla lotta per conservare la democrazia. Il Paese va avanti, forte della sua struttura economica, del mandarinato federale e della capacità degli alti comandi militari di mantenere le forze armate raccolte attorno alla bandiera.

Troppe tensioni non nuove restano tuttavia ancora irrisolte. Sono tensioni di razza, di fede, di cultura e di censo. Altrettanto poco nitida appare la posizione che si intende assumere nei confronti dei principali focolai di crisi in Asia. Non giova, ad esempio, la partenza in questi giorni degli ultimi contingenti dall’Afghanistan, quasi fosse parte della celebrazione della festa nazionale, perché prevalgono le immagini desolate dei militari afghani - per il cui armamento e addestramento sono stati spesi milioni di dollari - costretti ogni giorno a cedere pezzi di territorio ai talebani e ai capi tribù.

Altri sottili cordoni ombelicali tra l’Est e l’Ovest del mondo sono sottoposti a pericolose tensioni: a partire da Hong Kong. In cinese, l’America è Mei Guo, letteralmente “il Bel Paese” (prima ancora che la Galbani ne facesse un formaggio, i cinesi avevano già riciclato questa etichetta che Dante ci aveva regalato). L’America di oggi non mostra però di voler più rendere la cortesia, né la Cina di oggi probabilmente userebbe queste stesse parole se dovesse ancora dare un nome agli Stati Uniti.

Nello scontro tra elementi di “realpolitik” ed esigenze di coerenza con i propri ideali storici, la democrazia americana richiederà un continuo, competente e nuovo impegno, che è tutto da costruire.

Tuttavia, finché è ancora Washington a proporre un modello da applicare per il nostro tempo, sarebbe inopportuno farsi tentare da un segreto compiacimento per le carenze della politica americana.

L’America ha comunque ragione di festeggiare sé stessa, perché nel guardarsi allo specchio continua quell’incessante esame autocritico che è la sua forza, e non la sua debolezza.

Ottant’anni fa, gli Stati Uniti furono la fucina della democrazia producendo carri armati ed aeroplani; ancor oggi sono una fucina della stessa ambizione di democrazia che è anche la nostra: un’ambizione forse un po’ più invecchiata, disincantata e ancora lontana dalla perfezione, ma meritevole di sinceri auguri di buon compleanno.


Franklin

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