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I molti fronti della campagna per l’Eliseo


Lettera da Parigi


Il calendario in miniatura che compare quotidianamente in calce ai teleschermi francesi alterna sotto il segno “più”, il susseguirsi delle giornate di guerra guerreggiata sul suolo ucraino e, sotto il segno “meno”, il numero di quelle ancora da combattere nella battaglia per l’Eliseo: una cifra aritmetica che è oramai quasi equivalente e che fornisce, in qualche modo, la plastica raffigurazione dell’anomalia assoluta di una elezione presidenziale collocata nel pieno della più grave crisi internazionale attraversata dall’Europa dai tempi della seconda guerra mondiale.


Anziché alimentare una meno accesa e più ponderata dialettica politica, gli scontri fra i candidati al primo turno (dai quali Macron si è tenuto sinora discosto) si fanno di ora in ora più virulenti, rasentando non di rado la sterile rissa verbale e producendo una miriade di proposte a cascata, sempre meno attendibili e sprovviste di sostenibile credibilità.

Al tempo stesso, si moltiplicano gli appelli alla ragione, a supporto della evidente inopportunità che rivestirebbe un subitaneo cambiamento di leadership, in una congiuntura così preoccupante, che investe una pubblica opinione informata, consapevole, e soprattutto angosciata per l’orrore della guerra e per le sue ancora imperscrutabili ripercussioni economiche, sociali ed umanitarie.


Per ora, avvalorata da tutti i sondaggi, l’ipotesi di una riconduzione del Presidente uscente per un secondo mandato quinquennale appare ancora la più consolidata e la meno esposta ad imprevedibili colpi di scena. Tanto che si ventila, oltre ai già acquisiti sostegni di non pochi ex-Primi Ministri del passato (e provenienti da partiti oggi all’opposizione), persino un avallo di tipo “istituzionale” più o meno esplicito dei due ex Capi dello Stato, Sarkozy e Hollande, addirittura fin dal primo turno.


Se il predecessore immediato di Macron mantiene ancora al riguardo un riserbo in cui alcuni leggono le tracce della risentita amarezza nei confronti del suo antico collaboratore, la compagine gollista si schiera già in maniera plateale – quasi a scongiurarne il danno, almeno presunto – contro l’ipotesi di ogni pronuncia favorevole ad una rielezione dell’attuale presidente da parte di Sarkozy: se ne augura apertamente l’infondatezza (paragonandola ad un inimmaginabile tradimento) il capo-gruppo dei Repubblicani alla Camera Retailleau, mentre il Presidente del Senato, campione indiscusso di manovriere iniziative proprie alla politica “politicienne”, fa subdolamente circolare la tesi che la campagna elettorale “mutilata” per via dell’effetto “drapeau” e in nome dell’unità nazionale nell’emergenza potrebbe eventualmente configurare un grave difetto di legittimazione a carico del prossimo inquilino dell’Eliseo.


Malgrado tutto, i giochi non sono ancora fatti e, sullo sfondo del diffuso e pressoché unanime convincimento che in maggio si continuerà con Macron, si moltiplicano indicatori e circostanze che debbono indurre a rifuggire da certezze adamantine e da scontate e sommarie anticipazioni.


Il fattore di maggiore incertezza rimane quello dell’astensionismo, attentamente monitorato dai sondaggisti, e delle sue imprevedibili ricadute: e ciò ancor più in presenza di una “rielezione annunciata” con tanto anticipo, tale da contribuire a scoraggiare ulteriormente i meno solerti. Ed il primo a paventarne gli effetti sembra proprio Macron che dopo alcune scarne apparizioni pubbliche da “candidato”, rivelatesi non particolarmente incisive, ha deciso in questi giorni di premere sull’acceleratore e di esporsi di persona all’elettorato. Ieri ha tenuto una conferenza stampa per la presentazione del suo programma, in presenza di oltre trecento giornalisti compresi quelli della stampa estera, mentre si moltiplicano le indiscrezioni di apparizioni televisive la cui programmazione rimane però incerta, condizionata tanto dalle stringenti regole del contingentamento dei paritari “tempi di parola” quanto dalle difficoltà di calendario correlate all’agenda internazionale del Presidente.


Altro fattore che potrebbe indurre Macron a spendersi maggiormente sul piano personale è da ravvisarsi nell’evoluzione stessa della crisi ucraina e del ruolo ardimentoso da lui tenacemente svolto nel rapporto con il Cremlino, nel frattempo temperatosi agli occhi della pubblica opinione per il moltiplicarsi delle iniziative di mediazione non solo europee, l’attivismo mediatico “tout azimut” di Zelensky e l’implacabile pervicacia guerriera di Putin.

Ma non è solo l’emergenza internazionale a suggerire a Macron di incarnare maggiormente il personaggio del candidato e di modificare in corso d’opera la strategia sinora seguita di perseguire un quasi tacito e consensuale rinnovo del mandato.


Ultima novità di calendario, è esplosa, come un fuoco che si ravviva improvvisamente da ceneri mai spente, l’ondata di violenze che ha colpito nei giorni scorsi la Corsica con manifestazioni nazionaliste di indipendentisti ed autonomisti che vanno causando gravi disordini e molti ferimenti, soprattutto nelle forze dell’ordine, in nome di vecchi e dimenticati slogan come “Francia, Stato assassino”. Elemento scatenante ne è stato, infatti, il ferimento per mano di un ex terrorista islamico in un carcere di massima sicurezza, dell’ergastolano Yvan Colonna, ridotto ora in fin di vita ed autore materiale nel 1998 dell’assassinio del Prefetto di Ajaccio Erignac, al culmine degli attentati perpetrati dagli indipendentisti armati dell’Isola. A Colonna era stato finora imposto il “confino” sul continente ed impedito ogni trasferimento – reputato pericoloso – in un penitenziario isolano.


Quello che poteva passare, a prima vista, per un efferato “fait divers” degno di una cruenta serie televisiva del genere carcerario, si è trasformato rapidamente – ed in parte irrazionalmente – in un caso politico prioritario che svela impietosamente i tanti risvolti negativi tanto della rigidità burocratica francese, al limite dell’inefficienza e della paralisi, che quelli dell’esasperato centralismo repubblicano di ispirazione inflessibilmente giacobina. E se ai primi si è subito dedicata una commissione di inchiesta parlamentare che deve stabilire eventuali responsabilità nel lamentato malfunzionamento carcerario, ai secondi si è volto immediatamente Macron.

Il Presidente ha inviato immediatamente ad Ajaccio il Ministro dell’Interno che prosegue da due giorni approfondimenti con gli esponenti politici locali e che con loro esamina le ipotesi possibili di avanzate autonomie amministrative basate sulla tanto attesa concessione di uno Statuto regionale speciale; vengono citati al riguardo dagli stessi eletti locali i regimi vigenti per la vicina Sardegna o quelli propri agli ex possedimenti francesi di Oltremare.


Ma il candidato, memore dell’intuizione avuta nel primo biennio del suo mandato, dovrà appropriarsi dell’argomento e destreggiarsi sullo stretto sentiero di quelle che saranno percepite inevitabilmente come mere promesse elettorali, destinate – nel caso dell’autonomia della Corsica – a misurarsi subito dopo con le rigidità ideologiche e culturali del sistema stesso e degli squilibri fra esecutivo e legislativo propri al semi-presidenzialismo della quinta repubblica francese. Fu infatti il Senato ad opporsi tenacemente, nel 2018, alla proposta avanzata dall’Eliseo di inserire in Costituzione il principio di un decentramento regionale propedeutico a più avanzate forme di autonomia specifica per la Corsica.


Lo stesso dilemma si è presentato per la fiammata di aumenti nel costo dei carburanti e di alcune materie prime ed alimentari. Nel caso di specie, il Presidente ha dato mandato al Primo Ministro di varare d’urgenza un piano di resilienza emergenziale, con misure straordinarie per il calmieramento provvisorio dei prezzi al consumo, valide per i prossimi quattro mesi, mentre il candidato si è riservato di “dettagliare” misure organiche strutturali, relative all’inflazione, ai salari e al potere d’acquisto, inclusa e non ultima la nuova versione della riforma delle pensioni con il posticipo a 65 anni dell’età prevista per l’uscita dal mercato del lavoro.


Tutto sembra già definito, nulla è ancora certo. E Macron non cessa di ripeterlo ai suoi, consapevole che, probabilmente, si troverà a competere nelle ultime due settimane di aprile con una Marine Le Pen particolarmente pugnace, costantemente all’attacco , forte di una ampia riserva potenziale di voti di destra per il ballottaggio ed agguerrita nella caccia all’incerto e all’astensionista che tenta di sedurre e conquistare fino all’ultimo in chiave anti-Macron; il tutto sullo sfondo eminentemente precario della gravissima instabilità internazionale e di una fiducia, per ora maggioritaria, riposta dai francesi nel loro attuale Presidente. Non a caso, si dice qui che il primo turno è fatto per selezionare ed il secondo per eliminare.


l’Abate Galiani



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