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I numeri della crisi


Tab. 1. Graduatoria delle regioni italiane tra quelle europee (280 NUTS 2) PIL pro capite ppp in percentuale UE a 28 dal 2000 al 2019 - Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati EUROSTAT.


Consegniamo alla riflessione dei nostri lettori la tabella qui sopra pubblicata, tratta dal “Rapporto SVIMEZ 2021 sull’economia e la società del Mezzogiorno”, presentato ieri a Roma. La tabella indica come si collocavano nella graduatoria del reddito procapite delle 280 regioni che costituiscono l'Unione europea le regioni italiane nel 2000 e come si collocano oggi. Tutte le nostre regioni retrocedono e perdono posizioni. Anzi addirittura precipitano di decine di posti nella graduatoria, come si vede dall'ultima colonna.


C'erano sei regioni italiane fra le prime trenta; ne è rimasta solo una, la provincia autonoma di Bolzano che oltretutto gode di questa posizione più che per le proprie attività produttive, che pure vi sono, per gli ingenti trasferimenti di finanza pubblica a suo favore previsti dagli accordi internazionali fra Italia e Austria.


La Lombardia perde 22 posizioni; il Veneto 37; il Piemonte 49, per non parlare dell'Umbria che ne perde 70. Calabria, Sicilia, Campania e Puglia si collocano intorno al duecentesimo posto nella graduatoria, avendo perso oltre 30 posizioni ciascuna.


Come altro si può descrivere l'esito della politica italiana da decenni a questa parte?


E quale altro programma politico si può oggi stilare, se non quello di fermare questa discesa precipitosa e cominciare a risalire la china? Naturalmente questo vuol dire articolare un vero e proprio piano di sviluppo che comprenda, da un lato, una buona utilizzazione dei fondi europei e dall’altro un richiamo energico all’imprenditoria privata a fare la sua parte. È evidente che in questi anni l’imprenditoria ha fatto un passo indietro. Bisogna sollecitarne un impegno a dare qualcosa al Paese da cui ha ricevuto molto nel dopoguerra.


Forse questa graduatoria dovrebbe figurare sui tavoli delle nostre autorità nazionali e regionali, come memento della situazione da cui partiamo e come termometro del successo o dell’insuccesso delle nostre politiche.


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