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Il discorso di Biden all’ONU

Lettera da Washington


Certo questi sottomarini americani sono proprio potenti…non sono stati ancora costruiti e hanno già silurato un’alleanza che stava a galla da duecentoquaranta anni.

Che però per fortuna non è affondata. Da parte europea, sarebbe suicida lasciarla affondare. Da parte americana, il 21 settembre, nel suo primo discorso all’Assemblea Generale dell'ONU, Biden ha confermato l’impegno politico e la volontà degli Stati Uniti di seguire la via dell’alleanza, respingendo l’idea di camminare da soli. Interessante è il riferimento all’uso che si propone di fare di questa nuova iniezione di “leadership”: opporsi “alle nazioni forti che intendono dominare altre più deboli”, il che evidentemente punta il dito contro la Cina.

Questo sembra riassumere il senso della “dottrina Biden”, che peraltro non rappresenta un’assoluta novità; a cominciare dalla dottrina Monroe (1823), che era un'intimazione agli europei a tenersi alla larga dal continente americano. Il contributo di Monroe vive ancora ed è stato declinato nel tempo in molti modi, a partire dal corollario di Theodore Roosevelt (1904): “…quindi saranno solo gli Stati Uniti a intervenire nelle Americhe quando occorre tutelare eventuali diritti violati” (1904).

Non è senza interesse scorrere la lista delle dottrine presidenziali americane dell’era moderna, da cui risalta prima l’espansione e poi la contrazione dell’ombra degli USA su nemici e amici, a partire da Truman (1947: l’America fornirà assistenza a tutte le nazioni minacciate da forze autoritarie interne o esterne, cioè la guerra fredda), fino a Obama (2008: “Ci asterremo da conflitti che non hanno prospettiva di successo”) - ripresa in sequenza bipartisan da Trump e Biden.

Quasi tutti i precetti delle “dottrine” sono stati riecheggiati e confermati nell’intervento presidenziale all’Onu. Col suo discorso, Biden ha messo esplicitamente una lapide sul conflitto afghano e ha invocato un nuovo periodo di “instancabile diplomazia”. Ha citato subito il settore Indo-Pacifico (consacrando il famoso riorientamento verso quella parte del mondo), segnalando così implicitamente il declassamento del confronto con la Russia, eredità dalla guerra fredda. La Cina è più importante, è più attuale, è più pericolosa. È anche più vicina, ed è una potenza nel Pacifico, il vero “mare nostrum” americano.

Per Washington il confronto con la Cina deve, dunque, essere affrontato in modo deciso e in prima persona, e non è delegabile per il momento ad alcuna potenza europea, per quanto amica.

Dopo la brutta pagina di Kabul, come va allora interpretato il “not alone” di Biden? Probabilmente come un richiamo per un futuro di maggiore e migliore coinvolgimento da entrambe le parti dell’Atlantico.

Nonostante i risentimenti causati dal confuso disimpegno in Afghanistan e dallo sgarbo dei sottomarini, l’America sa di poter esercitare una leadership globale, ma vuole alleati che marcino contemporaneamente nella stessa direzione, allo stesso ritmo, con un maggior fardello civile, politico e militare.

Nel non abbandonare il suo ruolo guida, l’America manda contemporaneamente un messaggio anche all’Europa.

Con la fine del conflitto in Afghanistan si apre così una pagina di autoesame per entrambi i lati dell’Atlantico che richiederà tempo, chiarezza di idee e autentico impegno per tradurre l’esperienza deterrente della NATO in una nuova esperienza operativa. Non è certo solo una questione di equipaggiamento e di standardizzazione. Se il posto che l’Europa vorrà, potrà o dovrà avere non sarà dietro, ma vicino agli USA, occorrerà che prenda sul serio le relative responsabilità, misurandone le conseguenze, a partire dagli effetti sulla propria economia e dal gravame di un impegno militare più profondo e più organizzato. Il pasticcio scoppiato per lo scippo dei dodici sottomarini per l’Australia non è un buon inizio, ma se dovesse scuotere l’Europa fino a far collimare le proprie ambizioni con le proprie responsabilità potrebbe avere una sua utilità.

Il richiamo di Biden alla leadership del suo paese nei riguardi degli alleati tradizionali ha dunque un senso ben preciso e non è quello di scusarsi per la maladresse; non intende blandire gli amici su questa sponda dell’Atlantico, ed è invece un’offerta che contiene il segnale di affrettare il passo. Affermando che l’America è presente e non ha abbandonato la missione di coltivare la democrazia nel mondo, ma anzi intende rafforzarla con un senso più maturo dei contenuti, dei modi e degli obiettivi, il Presidente ricorda che gli equilibri militari sono importanti, ma l’impegno a perseguire la pace è in primo piano, giorno dopo giorno.


Franklin



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