Abbiamo letto con molta attenzione la lunga intervista rilasciata ieri da Nicola Zingaretti al Corriere della Sera. Il segretario del Pd ha illustrato le condizioni che ritiene necessarie perché il suo partito possa decidere di votare SÌ nel prossimo referendum sul taglio dei parlamentari. Sono condizioni impegnative.
In primo luogo esse riguardano la necessità di accompagnare la riforma costituzionale con le indispensabili modifiche ad altre norme costituzionali, alla legge elettorale ed ai regolamenti parlamentari.
Ma Zingaretti ha posto un’esigenza più generale, che è quella di rispettare il complessivo accordo di governo che prevede una durata della legislatura fino alla sua scadenza naturale, un concordato percorso per l’elezione del presidente della Repubblica ed un’incisiva azione di governo per la ripresa del Paese. Quest’ultimo tema, dopo l’epidemia, è diventato cruciale. Quando, nell’agosto scorso, è nato il governo Conte 2, l’agenda dell’esecutivo era molto più contenuta: sterilizzata l’IVA, si trattava di imprimere una maggiore vivacità all’economia italiana ferma da troppi anni. Oggi siamo in un altro mondo. Si tratta di utilizzare al meglio i fondi negoziati in Europa, pena la catastrofe economica del Paese. Per raggiungere questo difficilissimo obiettivo occorrono idee chiare ed una maggioranza consapevole e coesa.
Noi, dice Zingaretti, abbiamo fatto la nostra parte: abbiamo messo a disposizione una squadra la cui autorevolezza e capacità ha consentito di modificare la precedente impostazione economica europea in senso favorevole all’Italia e da ciò sono derivate politiche espansive, sia in sede Bce, sia con la previsione di cospicui finanziamenti comunitari come il Sure, il Mes e in Next Generation UE; ora abbiamo bisogno che questa occasione, a partire dal Mes, non vada sprecata. Abbiamo poi più volte richiesto ai nostri alleati di governo una convergenza nelle prossime elezioni regionali, il cui risultato non potrà non ripercuotersi sulla stabilità dell’esecutivo e sulla saldezza della maggioranza.
Non si può dar torto al segretario del Pd: il suo partito ha fatto ciò che lui ha ricordato e ha modificato la sua posizione su una riforma costituzionale su cui aveva votato il Parlamento per tre volte NO.
Ma ha ottenuto risposte che lo possono confortare? Vediamo.
Primo. Non appena finita la fase più acuta dell’epidemia, il Pd ha chiesto di porre all’ordine del giorno del Parlamento la riforma elettorale. Prima della pausa estiva i Cinquestelle hanno fatto orecchie da mercante e Italia Viva ha dichiarato di non riconoscersi in alcun accordo di maggioranza. Ora che le Camere stanno riaprendo, i Cinquestelle si dichiarano disponibili ad un inizio dell’esame parlamentare
ma Renzi insiste nel non considerare questo tema come una priorità e tutto ciò non può che generare sospetti sulla autenticità della posizione grillina.
Secondo. Per ciò che attiene le alleanze nelle regionali, Italia Viva ha scelto di presentare un proprio candidato in Puglia contro il candidato del Pd. Quanto ai Cinquestelle, essi hanno fatto approvare dalla piattaforma Rousseau la possibilità di alleanze locali e contemporaneamente in sede locale e con l’avallo del coordinatore nazionale, hanno bocciato qualunque accordo nelle Marche e in Puglia. Sostanzialmente il Pd ha ottenuto di poter votare un candidato Cinquestelle in Liguria.
Terzo. L’agenda autunnale del governo mette i brividi: Mes e Recovery Fund, decreti sicurezza, riforma del CSM, conflitto di interessi, legge elettorale, modifiche costituzionali, modifiche ai regolamenti parlamentari, decreto semplificazioni, proroga dello Stato d’emergenza, riforma del pianeta sport. Sono tutti temi su cui la maggioranza, come si dice, fa fatica a trovare la quadra e ancor più faticherà se i Cinquestelle usciranno ringalluzziti da un successo referendario.
Pochi giorni fa, Goffredo Bettini, uno tra i più autorevoli dirigenti del Pd, ha rilanciato le ragioni dell’alleanza che sostiene il governo, rinnovando l’appello a tutte le forze della maggioranza ad una convergenza nelle elezioni regionali, valutando positivamente la posizione centrista di Italia Viva e addirittura invitando Matteo Renzi a mettersi in moto per federare le forze liberal democratiche contrarie alle destre in una terza gamba della coalizione.
Il risultato di queste iniziative è sotto gli occhi di tutti. Nessuna alleanza nelle regionali, nessun accordo sulla legge elettorale ed anzi apertura di un dibattito interno al Pd da parte di coloro che accusano la segreteria di voler abbandonare la tradizionale posizione del partito da sempre caratterizzatosi come forza a vocazione maggioritaria.
In sintesi il segretario del Pd appare accerchiato all’esterno e all’interno del partito. All’esterno, da forze preoccupate principalmente della propria sopravvivenza e che nel fondo si augurano un risultato delle consultazioni elettorali e referendarie di fine settembre che veda la sconfitta dei candidati Pd e ed il successo della tradizionale battaglia anticasta rappresentata dal taglio dei parlamentari. Di questo clima lo stesso Zingaretti sembra consapevole quando, nell’intervista, parlando del tema delicatissimo della riapertura delle scuole, si dichiara perplesso sulla scelta di riaprire il 14 settembre per poi dover richiudere dopo pochi giorni per le elezioni e il referendum.
All’interno, da correnti del Pd che lavorano ad un cambio di segreteria che possa addirittura preludere ad un rientro di Matteo Renzi.
Non è compito del Commento Politico dare consigli. Ci pare però che il tempo degli appelli sia ampiamente finito. In politica gli appelli si fanno o sapendo che saranno perlomeno in parte accolti o per vederseli respinti e trarne le conseguenze. Continuare a lanciarli per avere risposte distratte, se non addirittura truffaldine, è però pratica che ci sorprende.
A volte, quando ci si ritrova in una compagnia in cui tutti concorrono a lasciarti il cerino in mano, forse converrebbe soffiarci sopra con forza prima di bruciarsi.
Vedremo presto come si orienterà la direzione del Pd, convocata proprio a questo fine.
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