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Il pass francese anti-Covid

Lettera da Parigi

L’attesa allocuzione televisiva del Presidente Macron lunedì scorso e le vivaci reazioni che ha suscitato anche oltrefrontiera hanno avuto un’ampia cassa di risonanza nell’atmosfera di fervore che circonda tradizionalmente la Festa Nazionale del 14 luglio.

L’anniversario della presa della Bastiglia ha consentito quest’anno, dopo l’interruzione dovuta alla pandemia, il ritorno all’usato splendore con la grande parata militare sugli Champs Elysées e l’adunata di popolo per il concerto all’aperto e lo spettacolo pirotecnico sullo sfondo del napoleonico Arco di Trionfo.

Smaltita l’euforia, i commentatori ed i semplici cittadini si sono però dovuti misurare con la portata degli annunci che Macron – di fronte alla recrudescenza dei contagi e all'avanzata della variante Delta – aveva, solo due giorni prima, illustrato ai francesi con l’abituale schiettezza ma con fermezza forse maggiore che in passato.

La contrapposizione fra favorevoli e contrari si è subito palesata con l’abituale virulenza e crudezza di linguaggio. Stavolta, tuttavia, le fughe in avanti nelle valutazioni politiche, giuridiche e sanitarie sono parse ancor più ardite e a tratti fantasiose. Ciò che infatti ormai accomuna critiche e polemiche provenienti dalla destra e dalla sinistra estreme è la contrapposizione frontale al Presidente ed il ricorso ad ogni pretesto per complicarne la fine del mandato e minarne la nascente campagna.

Alcune delle apodittiche dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi contro l’annunciato inasprimento dei provvedimenti restrittivi, hanno in qualche modo sortito l’effetto contrario al desiderato.

L’esplicito riferimento alla dittatura nazista, culminato in un raduno di manifestanti che, per esprimere la propria contrarietà al pass sanitario, esibivano vistose stelle gialle in memoria della Shoah è sembrato superare ogni limite. Così come il raffronto dell’attuale dispositivo di emergenza con il regime dell’Apartheid, che ha suscitato un tale coro di critiche da costringere una deputata europea dei Verdi a pubbliche scuse e smentite.

Il pur sperimentato Jean Luc Mélenchon, tribuno della sinistra populista radicale, non ha trovato di meglio che far da megafono alle oramai dimenticate figure dei Gilets Jaunes, che hanno esposto pubblicamente le loro rocambolesche teorie complottiste ed antivaccinali.

Tutti insieme appassionatamente e malgrado le differenze – a volte abissali – che contraddistinguono queste proteste, i manifestanti hanno sfilato due giorni fa per le vie cittadine di una trentina di centri urbani, talvolta in improbabili cortei congiunti.

Peraltro, l’artificiosa distinzione fra antivax stricto sensu e contestazione delle annunciate misure di ampliamento del ricorso al documento sanitario ha creato non pochi grattacapi più che a Macron ai socialisti, ai gollisti ed agli stessi Verdi.

La maggioranza dei leader di opposizione sono stati costretti ad optare per la cautela ed il riserbo, lasciando emergere, più o meno a denti stretti, una sostanziale convergenza con la linea del governo.

In compenso, il richiamo al sistema di garanzie previsto dalla Costituzione ha finito per accomunare l’opposizione classica ed il redivivo movimento dei Gilets Jaunes nel “tirare la giacchetta” al Consiglio di Stato o al Consiglio Costituzionale, invocandone l’intervento, incuranti del fatto che proprio tra le loro fila più pressanti sono le istanze per un superamento della carta fondamentale in vigore.

Ciò non toglie che, sotto il profilo strettamente giuridico, i prossimi giorni saranno di fatto delicati per il Presidente e per il suo Governo. La stessa “manica larga” adottata sinora dalle supreme magistrature amministrativa e costituzionale nel “laisser passer” le misure precedentemente adottate era strettamente connessa alla dichiarazione dello stato di emergenza pandemica – tuttora vigente – ma anche correlata ai casi più eclatanti di raduni e assembramenti di folla.

A queste, ed altre possibili riserve di ordine costituzionale, sembra destinato a rispondere il disegno di legge ad hoc che il Consiglio dei Ministri di oggi dovrà approvare. Nell’Assemblea Nazionale la maggioranza governativa è solida nei numeri e nel sostegno alla linea del Presidente, ma al Senato si temono imboscate o manovre di ostruzionismo.

Va registrata tuttavia una differenza di fondo nell’atmosfera politica generale, rispetto al precedente momento di crisi acuta dell’era pre-pandemica (quello dei Gilet gialli e delle grandi manifestazioni di piazza contro Macron). Una differenza che poggia anche sui sondaggi e sulle stesse cifre a confronto.

La mobilitazione di sabato scorso ha di poco superato le centomila persone in tutta la Francia – a livelli quindi ben inferiori a quelli raggiunti al culmine della “jacquerie” della fine del 2018: è perciò facile gioco contrapporvi i numeri milionari di richiedenti il vaccino che hanno risposto favorevolmente all’appello presidenziale del 12 luglio, come conferma la frenetica attività di tutti gli operatori nazionali, dai grandi centri sanitari ai medici, farmacisti ed infermieri, con record giornalieri di centinaia di migliaia di nuove iniezioni.

Più ancora, mentre nel 2018 – per sorprendente che possa apparire – i consensi della pubblica opinione per le rivendicazioni avanzate dai Gilets Jaunes erano ampiamente maggioritari, tutti i sondaggi, pur con sfumature numeriche diverse, concordano nel dare al Presidente e al suo Governo confortevoli margini di pareri favorevoli quando non di incondizionata approvazione del suo operato. Un elemento certamente influenzato dall’incubo diffuso della pandemia, ma che non era mai stato registrato a favore di un Presidente uscente alla scadenza (o quasi) del suo primo mandato.

Ciononostante, permane nel Paese la sfilacciatura di una società sempre più disancorata da quei solidi riferimenti della rappresentanza democratica (partiti politici, sindacati, associazioni di categoria) su cui si fonda tradizionalmente la fiducia nelle istituzioni e nella stessa classe politica e dirigente.

Macron era riuscito a sparigliare il gioco della vecchia politica francese. Ha ora davanti l’arduo compito di ricomporre, almeno in parte, una frammentazione subdola e dagli esiti per ora imprevedibili, per la Francia e per l’Europa.

È su questa tela di fondo che dovrà prender forma la campagna presidenziale.


L’Abate Galiani

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