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Il pericolo Le Pen

Lettera da Parigi


Manca oramai solo una settimana alla vigilia del primo turno della corsa all’Eliseo; ma l’attenzione prioritaria degli esponenti politici e dei commentatori si proietta di già sulla sfida finale del 24 aprile e sul momento fatidico in cui, in prima serata, si delineerà puntualmente sui teleschermi – secondo una tradizione consolidata – il grafico con l’effigie del prossimo Presidente.


Se nessuno si sente di escludere ancora possibili, ma improbabili, sorprese nell’ordine di arrivo dei dodici candidati allineati agli starters del primo turno, le simulazioni e le rilevazioni dilaganti sui media riguardano essenzialmente lo scarto – che non cessa di assottigliarsi – fra i due “favoriti”, il Presidente uscente e Marine Le Pen.

Il vantaggio sinora mantenuto da Emmanuel Macron si va costantemente riducendo e, pur rimanendo ancora al di sopra del “margine di errore” statistico nei sondaggi, è accreditato solo di un “risicato” 5%, inferiore comunque almeno in parte, a quello di portata comunque contenuta, fisiologica per un incumbent.


La formula icastica, coniata da un veterano fra i più accreditati degli opinionisti, da tutti ripresa e chiosata - “è probabile che vinca Macron, ma è possibile che vinca Le Pen”-costituisce il leit-motiv di tutti gli approfondimenti e delle analisi che vanno tardivamente ritrovando spazio in una informazione sinora quasi interamente dominata dalla guerra in Ucraina.


Potrebbe sembrare una enunciazione banale, venata di una pilatesca e lapalissiana tentazione a non sbilanciarsi di fronte all’incertezza propria dei sondaggi, aggravata stavolta dall’ancora imperscrutabile incognita del possibile astensionismo.


La realtà (purtroppo, mi permetto di aggiungere a titolo personale) è ben diversa: per la prima volta, nella storia della Quinta Repubblica francese, l’ipotesi di un’ascesa all’Eliseo della personalità che incarna l’estrema destra è accreditata come una opzione realistica che dipende oramai solo dagli ultimi fuochi della campagna elettorale, dagli umori di un’opinione frastornata dal rumore delle armi, ma soprattutto dalla crescente inquietudine per il caro-vita e per il galoppare dell’inflazione, dalla consistenza numerica globale degli oppositori ad oltranza del Presidente uscente, sedotti sempre di più dalle sirene populistiche e tentati stavolta – piuttosto che dall’astensione – da una prepotente volontà di rivalsa e di cambiamento a tutti i costi (il “dégagisme” come si dice qui).


Abbiamo più volte evocato, nell’arco di quest’anno, quel “patto repubblicano” che aveva sinora costituito una diga praticamente stagna, pronta ad ergersi a difesa dell’equivalente francese del nostro “arco costituzionale” contro ogni tentazione di consentire l’accesso al Palazzo a chiunque si richiamasse a visioni estreme e a dolorosi fantasmi del passato. Nella fattispecie, vi si erano costantemente conformati gli schieramenti tradizionali di sinistra, ma anche della destra neo-gollista, nei confronti dapprima del Fronte Nazionale, poi del Rassemblement National, comunque guidati (“nomen omen”) da un (o una) Le Pen.


Quella diga dà oggi segni evidenti di erosione, se non di autentico sfaldamento: è delle ultime ore una esternazione di Mélenchon intenzionato a non dare alla sua Unione Popolare alcuna consegna in tal senso, con un terzo del suo potenziale seguito nel variegato e malmostoso popolo degli “insoumis” pronto a riversarsi sulla Le Pen pur di sloggiare Macron dall’Eliseo.

A destra, la situazione non è molto differente: la parte più moderata dello schieramento neo-gollista ha già (apertamente o tacitamente) optato per Macron fin dal primo turno, come illustra anche plasticamente la continuata e un po’ patetica decrescita dei consensi per Pécresse, mentre Zemmour sembra gradualmente rassegnarsi al consolidamento dell’amata-odiata rivale Le Pen e starebbe studiando le mosse più acconce ad una allargata coalizione ultra-conservatrice per il ballottaggio e per il “day-after”… E che un radicale cambiamento sia oggi immaginabile, lo conferma, oltre alla cospicua riserva di voti potenziali per il Rassemblement National, l’acrobazia mentale di chi, pur insospettabile sul piano intellettuale, ideologico e democratico, cerca di banalizzare un eventuale “sfondamento” della destra paragonandolo allo storico “sisma” sociale e politico provocato nel maggio del 1981 dall’avvento d Mitterrand!

Se in questa lunghissima ed inedita campagna presidenziale – costellata di imprevisti, di crisi a catena, di striscianti o di acute emergenze vecchie e nuove – l’epilogo con un faccia a faccia Macron-Le Pen è apparso sempre come il più probabile o addirittura scontato, sono le condizioni nelle quali si configurerebbe stavolta il duello ad essere sostanzialmente nuove e tali da poter produrre effetti deflagranti senza precedenti per il Paese e per l’Europa.


Il parere, se non unanime, quantomeno ampiamente maggioritario degli analisti di ogni orientamento sulle ragioni di fondo di questo sviluppo si concentra principalmente su una valutazione comparativa delle due campagne elettorali contrapposte. Efficace ed abile, quella di Marine Le Pen, centrata sulla focalizzazione attorno alle tematiche prioritarie (prima fra tutte il “potere di acquisto” ) per le classi popolari e meno favorite – dando per scontata, in un certo senso, l’ “allegeance” ai valori “storici” di una destra nazionale e nazionalista, come l’immigrazione, l’ordine pubblico, la presa di distanza dalla globalizzazione e dall’integrazione europea, la riaffermazione di una Francia “restaurata” nella sua “grandeur”, ma al tempo stesso popolare e tradizionalista.


Questo in un quadro di attenuazione delle asperità e di umanizzazione dell’approccio partitico e personale (addirittura del vissuto “intimo”) della leader che, paradossalmente, l’esigenza di prevalere sull'irresistibile ascesa iniziale di Zemmour (condotta con tenacia e con una inattesa sottigliezza) non ha fatto che agevolare, grazie proprio alle irrefrenabili intemperanze dell’outsider.


E in questa determinazione Marine Le Pen persevera con prudente pertinacia, consapevole che ogni tentativo di seduzione in extremis da parte dello sconsolato ex-polemista verso una aggregazione per il ballottaggio potrebbe costarle il frutto faticosamente raggiunto del suo successo innegabile in termini di banalizzazione “centrista”, politica è personale. Vi è chi osserva, di contro, che “sotto il vestito nuovo” vi è ben poca sostanza e che una più approfondita disamina dei programmi (pur dettagliati) della candidata ne rivela il carattere demagogico e spesso in concreto poco realizzabile. Ma questo non sembra appannarne l’attrattiva agli occhi dei simpatizzanti, accuratamente selezionati nelle fasce più sensibili ai richiami nazionalisti e populisti e soprattutto, accomunati dall’intento di far fuori il presidente uscente. E quindi refrattari comunque a contro-argomentazioni pur credibili e razionali, come quelle in materia fiscale e salariale messe in campo dall’Esecutivo e dalla maggioranza.


Gli stessi osservatori confrontano questa operazione con considerazioni impietose ed ormai apertamente critiche per la parallela campagna di Macron e dei suoi. Ne rilevano l’imprudente tempistica, tardiva e spesso inceppata dagli impegni presidenziali, l’infelice presentazione-fiume alla stampa di un programma troppo esteso e verboso, che non sembra aver dato adito ad un autentico “soffio” innovatore e del quale l’elettore medio memorizza solo poche misure, molte delle quali avversate dalla classe media, come l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni. Mentre si va sfumando l’ “effetto drapeau” a fronte del cronicizzarsi del conflitto e del moltiplicarsi dei tentativi di mediazione internazionale, la popolarità del Presidente rimane considerevole, ma l’impennata di un mese fa in suo favore sembra gradualmente ridimensionarsi.


“En Marche” è ormai mobilitata “h24”, d’intesa con gli alleati, con a mente il confronto finale, nelle due ultime settimane di aprile, che si presenta quest’anno profondamente diverso da quello del 2017. Macron si concentra personalmente nella mobilitazione degli “incerti”, specie provenienti dall’area social-democratica: se due giorni fa, negli intervalli fra le telefonate con Putin e la videoconferenza del Quint, si è concesso un bagno di folla in Borgogna in compagnia del sindaco di Dijon, il senatore Rebsamen, “colonna” del Partito Socialista, è oggi in Charente per parlare di ecologia e di clima, mentre incassa il consenso maggioritario della Francia rurale, rilevante per chi è spesso accusato di centralismo “parigino”.


Al tempo stesso, deve anche schivare una serie di ostacoli dell’ultim'ora come l’ondata di indignazione, strumentalmente cavalcata dalle opposizioni, attorno alle spese del governo per consulenze esterne (soprattutto a beneficio di McKinsey) che una commissione di inchiesta del Senato (aduso per manovriera tradizione “politicienne” a creare ostacoli alla maggioranza presidenziale) ha furbescamente reso di pubblico dominio proprio nei giorni scorsi e che ha ripercussioni mediatiche degne di un’autentica “mina vagante”, anche per la nomea elitista da tempo affibbiata a Macron, come ex banchiere d’affari legato alle lobbies.


La prima, grande apparizione pubblica del Presidente-candidato avrà luogo domani 2 aprile, proprio all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo pacchetto di misure sul contenimento dei prezzi dei carburanti, a corredare con la necessaria adunata di folla una campagna che fatica a decollare quando mancano solo pochi giorni alla sua prima scadenza.


Non si manca infine di osservare che se – sul fronte della percezione dell’opinione pubblica – sembra prevalere il favore per la presentazione che di sé e del suo progetto dà oggi Marine Le Pen, lo scarto fra i due personaggi, in termini di esperienza, di affidabilità, di carisma, rimane ancora considerevole e verrà messo alla prova nel dibattito (o come vorrebbe la "macronie" in due successivi dibattiti) fra il primo e il secondo turno che opporrà due visioni contrapposte per la Francia (e per l’Europa) del futuro, ma soprattutto varrà a mettere in luce il profilo aggiornato dei due rivali e delle loro così differenziate personalità: a meno che non si verifichino imprevedibili colpi di scena la sera del 10 aprile, con un ordine d’arrivo che penalizzi Marine Le Pen, una “sorpresa” vagheggiata dai fedelissimi dell’Eliseo, perché si rivelerebbe in ogni caso molto più propizia per il Presidente-candidato.


l’Abate Galiani

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