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L’anno che verrà

Con la chiusura degli Stati Generali del Movimento 5 Stelle si apre una nuova stagione politica. Comprendiamo la delusione di chi avesse sperato che da quel consesso sarebbero uscite proposte per la rinascita del Paese. Una cosa è una stagione politica, una cosa diversa una buona stagione. Ciononostante, consideriamo positivamente il fatto che i Cinquestelle abbiano comunque fatto capire al Paese cosa sono diventati. Ancor meglio lo diranno tra un mese, quando risulterà chiaro quali saranno le strutture dirigenti (segreteria, direzione, entrambe?). Ma già oggi la nuova fisionomia è di agevole leggibilità: un partito che vuole chiudere la legislatura alla scadenza naturale, che non intende cambiare la maggioranza che sostiene il governo, che è disponibile a trovare col Pd le convergenze possibili in vista delle prossime elezioni in tutte le grandi città, che sosterrà , al momento opportuno, il varo di una legge elettorale proporzionale in modo da non trasformare l’attuale collaborazione di governo in un’alleanza strutturale, che continuerà ad alimentare la spesa pubblica corrente per foraggiare il suo maggior bacino elettorale e cioè il Mezzogiorno, che vorrà far pesare i propri voti (che sono tanti) al momento di scegliere il prossimo Presidente della Repubblica, in modo che sia eletto qualcuno che non brighi per escluderli dall’area di governo, ora che il loro consenso nel Paese si è più che dimezzato.

È vero, tutto ciò con la rinascita dell'Italia non c’entra ma non è poco. Soprattutto perché contribuisce ad alzare la nebbia sulle prospettive politiche del prossimo anno.

Dal quadro che si è delineato il governo esce fortemente indebolito.

Basta leggere l’intervista rilasciata oggi a Repubblica da Luigi Di Maio, cioè dal principale traghettatore dei Cinquestelle da movimento a partito. Il ministro degli Esteri chiede che i Cinquestelle pesino di più nel governo. Visto che ne posseggono la base parlamentare più forte, vi sono due spiegazioni non necessariamente alternative. La prima spiegazione è che si tratti della formale rivendicazione del ruolo di capo delegazione. Un po’ come dire: “Bonafede, sta sereno”! L’altra è che a Di Maio non piace l’attuale conduzione del governo. Per questo aspetto, che riguarda rapporti con il premier da quasi tutti i commentatori giudicati da tempo ai minimi termini, è interessante la risposta alla domanda sull’indebolimento dello standing internazionale del Paese emerso, in tutta la sua evidenza, con l’esclusione dell’Italia dal summit convocato dal Presidente francese Macron sulla ripresa del terrorismo in Europa. Sul tema, Di Maio fa notare che era una riunione a livello di capi di governo e che quindi non era lui a non essere stato invitato. Ci scusiamo per la caduta di stile, ma la posizione del ministro degli Esteri ci ha ricordato quella del tassista immortalato da Luciano De Crescenzo, in un suo spassoso film, mentre porta in giro per Napoli un manager milanese. Al passeggero che gli chiedeva se non fosse preoccupato per le multe in arrivo a causa dei molteplici passaggi col rosso agli incroci, il tassista rispondeva che le contravvenzioni avrebbe dovuto pagarle il manager: lui, il tassista, passava col giallo; il rosso scattava quando passava il passeggero seduto dietro!

I Cinquestelle chiedono quindi di contare di più: singolarmente e come gruppo.

Non sono i soli, dal momento che anche il Pd, per voce dell’autorevolissimo Goffredo Bettini, chiede di “chiamare al governo le energie migliori” e, insieme al segretario Zingaretti, di raccogliere subito i segnali di apertura che vengono da Silvio Berlusconi. Il Pd si rende conto che gli ammonimenti che arrivano da Gentiloni circa l’insostenibile leggerezza del piano italiano di utilizzazione dei fondi europei necessitano di risposte più convincenti e vigorose.

Ciò vuol dire che il governo è sul punto di cadere? No. Il governo potrebbe resistere fino alla fine luglio, quando, con l’inizio del semestre bianco, una crisi non potrà più portare ad elezioni anticipate. Sarà un momento, che coincidendo peraltro con la concreta erogazione dei fondi europei, potrà alimentare, oltre a tanti appetiti, anche molte ambizioni.

Il presidente del Consiglio è oggi atteso da una morsa sempre più stretta che, nel primo semestre del prossimo anno, implicherà forse un rimpasto e comunque l’assunzione in solitudine dell’impopolarità conseguente alla terza ondata del virus, quando il Covid puntualmente si presenterà a febbraio per gli allentamenti natalizi alle restrizioni.

Abbiamo diverse volte segnalato al premier questo pericolo, suggerendo una manovra di bilancio che non si esaurisse nel pur necessario ristoro e contenesse spunti concreti per la ripresa post virus del Paese. La legge che sta per essere presentata alle Camere non contiene questa consapevolezza.

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