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L’ordine pubblico nell’agenda elettorale francese


Lettera da Parigi


Un fatto di cronaca nera ed i suoi seguiti luttuosi hanno fatto irruzione, nei giorni scorsi, sulla scena politica francese e vanno tuttora dominando, in crescendo, il dibattito elettorale tra le forze politiche e su tutti i media.

L’uccisione di un brigadiere della polizia nazionale, in occasione di un banale intervento per sedare una rissa in pieno centro di Avignone, freddato a colpi di pistola da un giovanissimo spacciatore di droga, ha suscitato infatti – ben al di là della comprensibile indignazione della pubblica opinione – una serie di reazioni a catena. Tutte appaiono centrate sulla prioritaria questione dell’ordine pubblico, nella sua duplice declinazione della minaccia del terrorismo islamico e quella della criminalità organizzata attorno al traffico di stupefacenti. Non è sopita, infatti, trascorsa più di una settimana, l’onda lunga dell’emozione popolare per la tragica morte dell'ennesimo funzionario di pubblica sicurezza caduto in servizio - cui è stato reso pubblico omaggio con il conferimento postumo della Legion d’Onore e la promozione alla memoria del grado di “commandant”, alla presenza del Primo Ministro, significativamente affiancato non solo dal Ministro dell’Interno ma anche dal Guardasigilli.

Si susseguono interventi pubblici dei leaders di ogni parte politica ed appelli – alcuni dei quali del tutto inediti, quando non sconcertanti – si levano dalla società civile e da esponenti delle Forze Armate.

È indubbio che si vada in tal modo precisando l’ordine delle priorità che le forze politiche, di maggioranza come di opposizione, vanno inserendo nelle loro rispettive agende elettorali. Ancor più dell’emergenza sanitaria, la sicurezza “interna” della popolazione vi occupa oramai la prima posizione. E questo in una cornice di insieme su cui si staglia il malessere della società francese, con le sue derive di piazza violente ed una insoddisfazione sempre più esplicita e “urlata”, anche se talvolta irragionevole.

Quanto alle strategie che ispirano partiti e movimenti, questa situazione sembra fatta apposta (e taluni ne sottolineano l’enfatizzazione strumentale) per radicalizzare vieppiù il dibattito. Intanto, addossando acriticamente al Governo in carica, e quindi al Presidente, la responsabilità della scarsa efficacia delle misure sinora adottate per il potenziamento delle Forze dell’Ordine e della Magistratura: quasi che il consuntivo, oggettivamente disastroso, della mancata integrazione delle minoranze, in particolare islamiche, o il fiorire dei traffici illeciti in quartieri urbani o intere periferie che sfuggono ad ogni controllo delle autorità , non avessero radici antiche, almeno trentennali.

In questo contesto, la presidente del Rassemblement National non si fa sfuggire nessuna delle opportunità che il ripetersi di fatti luttuosi e di violenze metropolitane le offre su un piatto d’argento. Lo fa con puntuali apparizioni su tutte le “reti” ed ha gioco facile nel fustigare le responsabilità del “potere” come si dice qui, riconducendole tutte al “fallimento” del Presidente in carica, suo potenziale contendente.

I “fulmini” di Marine Le Pen, lanciati da tribune accuratamente orchestrate ed accompagnati da una espressione più addolcita e suadente - ma comunque con toni elevati di patriottismo “presidenziale”, come le studiate apparizioni che la inquadrano solitaria sul podio, paludata della fascia tricolore che le compete quale deputata e spesso segnate dall’acclamazione conclusiva del “Vive la France” - sembrano rivolte a “nuora perché suocera intenda”: dirette cioè alla pubblica opinione ed al popolo francese, ma specificamente mirate a quel magma ancora indefinito della “destra classica” quale ho cercato di descriverla nella mia più recente corrispondenza.

Marine Le Pen è certamente munita di un comprovato fiuto politico, al servizio di un carattere indomito e di una efficace oratoria: in questa fase, agendo prevalentemente d’istinto, mostra però di essere consapevole che centra comunque il bersaglio anche quando si limita a seminare “zizzania” su argomenti di così alta e diffusa sensibilità emotiva.

Non esclude ad ogni modo, sparando nel mucchio, di raggiungere con i suoi “fans” tradizionali anche un più esteso uditorio popolare e trasversale che non è sordo alle lusinghe sovraniste e populiste (sentimenti anti-europei, violenta condanna della globalizzazione, protezionismo economico, superamento della legge elettorale in senso proporzionale), ricercando in questo spirito persino il consenso di alcune componenti radicali nominalmente di sinistra, quali le giovani generazioni che in passato aveva attratto a sé il fondatore della “France insoumise”, Jean Luc Mélenchon.

Più metodico e sistematizzato appare però l’approccio cui fa ricorso nei confronti dei “les Républicains”, tentando di inserire un cuneo ulteriormente divisivo nella loro già fragile coesione partitica e persino nelle loro alleanze e diramazioni nell’arcipelago della destra classica, con singoli esponenti o formazioni associative tradizionalmente conservatrici, comprese alcune componenti dell’integralismo cattolico, contrarie al matrimonio omossessuale o ad ogni avanzamento riguardo alla fecondazione assistita o al “fine vita”. Dopo lunghe parentesi quasi di oblio, ricompaiono sugli schermi e nelle case dei francesi i volti dell’ex alleato antieuropeista del Fronte Nazionale Dupont Aignan, che si schiera stavolta con la sua famiglia gollista di origine, quasi a creare un “trait d’union” fra le due destre, e persino il Visconte de Villiers, che ha rapidamente archiviato un breve flirt con Macron e che fu ospite nella sua Vandea cattolica pre-tridentina di una giovanissima Irene Pivetti alle sue prime armi quale Presidente della Camera negli anni novanta, in nome della loro comune fede tradizionalista.

In questa movenza, Marine le Pen ravvisa soprattutto una insperata occasione di far breccia, finalmente, nell’ostracismo finora impenetrabile del cosiddetto fronte repubblicano che le ha, ad oggi, impedito l’accesso al “Palazzo”. In particolare, non perde occasione per cogliere nelle esitazioni e nelle contraddizioni di molti esponenti neo-gollisti, ogni segnale di avversione e di rivalsa pregiudiziale nei confronti di Macron, non tanto sul piano delle idee e dei programmi, quanto per il rancore che gli porta la destra “classica” per il colpo fatale da lui inferto alla sua permanenza quasi ininterrotta ai comandi della macchina statale ed al potere.

Grande meraviglia hanno suscitato, in tal senso, le dichiarazioni rilasciate in questi ultimi giorni da esponenti di spicco dei L.R. (la sigla più recente adottata dal Partito neo-gollista), come l’ex Ministra di Sarkozy, Nadine Morano, o con toni più ambigui Eric Ciotti, maggiorente della Regione Paca, per anticipare che ad un ballottaggio fra l’attuale Presidente (o la sua lista per le Regionali) e il Rassemblement National, si schiereranno per quest’ultimo e per Marine Le Pen. Configurando così un radicale voltafaccia rispetto alla tradizione di difesa ad oltranza dell’arco costituzionale e motivando l’esplicita rinuncia alla pregiudiziale messa al bando della destra estrema, con una sostanziale convergenza di vedute rispetto al “lepenismo” sui temi prioritari della sicurezza e della lotta all’immigrazione. Il solo punto che contraddistinguerebbe i due schieramenti, secondo queste ed altre esternazioni consimili, è la mancanza di esperienza amministrativa e di Governo dell’ex Fronte Nazionale che, proprio per l’impermeabilità del Front Républicain, non è mai andato sinora oltre la conquista di alcune municipalità di media importanza e che oggi spera di vincere in alcune Regioni, prima di imboccare la corsa all’Eliseo.

Si tratta per ora di posizioni minoritarie e non corredate da un avallo formale del Partito. Va anzi rilevato che hanno prodotto subito sulla scena politica alcune reazioni di segno opposto, riconducendo persino qualche irriducibile avversario di Macron, come il Verde Jadot o varie personalità socialiste di spicco, a rispolverare con una certa enfasi retorica il “dogma” della Unione di salvezza nazionale. Tanto più che nelle Regioni maggiormente contese, la già menzionata Paca e gli Hauts de France, gli attuali Governatori uscenti, entrambi di estrazione neo-gollista ne avevano beneficiato, imponendosi solo con il ricorso alla benevola desistenza dei socialisti al secondo turno su temibili candidati “lepenisti”.

Il danno, a destra, è comunque già per metà compiuto: come dimostrano i sondaggi più recenti che nella Regione Paca attribuiscono una vittoria netta al capolista del Rassemblement National, quel Thierry Mariani (quanti nomi italiani!...), abilmente prescelto dalla stessa Le Pen e da lei imposto al Partito (non senza causare qualche mugugno) perché transfuga dei L.R., con un passato di riconosciuta militanza neo-gollista e munito dei galloni di Ministro dei Trasporti all’epoca di Sarkozy: in altre parole, almeno sulla carta, un profilo vincente perché vi si ravvisano il volto “per bene” e l’esperienza governativa nella tradizione democratica e repubblicana che sinora mancavano all’estrema destra; senza contare che – oltre alle più remote ascendenze abruzzesi – Mariani è nativo di Orange ed è stato sempre eletto in Provenza.

Ma neppure per Marine Le Pen è ancora l’ora di cantar vittoria. Deve fare i conti anche lei con il complesso meccanismo delle amministrative, che prevede un eventuale secondo turno con sfide “plurime”, a differenza del “ballottaggio a due” delle presidenziali: ed implica quindi, a meno di una elezione immediata con più del 50%, mai verificatasi prima, un complesso gioco di alleanze o di desistenze da definirsi nell’arco di una settimana e per ora avvolto nell’incertezza. Il vantaggio di Mariani nella sua Regione è netto, ma non dissimile dai “plafonds” raggiunti in precedenti occasioni dal Front National e la piattaforma frastagliata che gli si contrappone è ancora in fase di ricomposizione mentre il Rassemblement national corre, quasi per antonomasia, essenzialmente da solo. Gli sviluppi, quindi, rimangono gravidi di incognite.

Una parola conclusiva merita un riferimento ai metodi e alle risorse di una campagna elettorale sulla quale prevarranno, più ancora che in passato, le nuove tecnologie e la nuova comunicazione, tanto più nell’era della pandemia che sembra aver segnato il definitivo tramonto dei comizi di piazza o della propaganda “porta a porta”.

Partendo dalla dimensione regionale, la stessa scelta del candidato della Le Pen per la Regione Paca – certo strategicamente “azzeccata” nel senso dell’apertura verso la destra moderata - dovrà misurarsi con l’insondabile dimensione della nuova informazione basata sui social media e sulle forze più o meno dissimulate che lavorano in rete nell’ombra dell’anonimato. È così che, sempre a proposito delle regionali, cominciano a circolare una serie di voci, spesso di segno contraddittorio, proprio su Mariani. Si sottolineano alcune sue controverse iniziative soprattutto al momento del suo passaggio dalla destra classica a quella radicale, specie in campo internazionale: dalle espressioni “agiografiche” usate nell’esaltare la figura di Putin, conseguenti al suo speciale legame con la Russia (di cui ha sposato una cittadina), sino ai ripetuti viaggi in Siria, a capo di delegazioni parlamentari di sostegno a Bashar al Assad, o agli stretti legami con gli ultra-conservatori in India e con il regime in Azerbaijan (che gli alienano le simpatie della folta comunità di origine armena nel Sud della Francia). Se molti di questi legami risultano effettivi e documentati dall’appartenenza a gruppi di sostegno esistenti e ad un certo attivismo sulla rete (che egli stesso padroneggia con destrezza) si moltiplicano le voci, talvolta fantasiose ma preoccupanti, che dietro questa realtà si celi un reticolo di “influencers” che hanno in comune l’obiettivo di destabilizzare e indebolire l’Europa. Nulla di meglio che favorire una propedeutica affermazione locale dell’estrema destra francese per poi spianare la strada ad un successo di Marine le Pen a livello nazionale. Anche in Francia come altrove nel mondo sono, infatti, insistentemente riecheggiate e continuano a circolare ipotesi di interferenze indebite di “hackers” stranieri, nell’intento doloso di modificare il normale corso della democrazia. Ma entriamo qui nei meandri della dietrologia o addirittura della fantapolitica.

Per attenerci a fatti incontrovertibili che non poggiano su presunti, oscuri disegni di potentati stranieri, ricordiamo in conclusione l’altro episodio – in due puntate – che va dominando il dibattito politico, tanto sui media tradizionali che sui social. Anch’esso ruota intorno all’emergenza numero uno dell’agenda elettorale, quella dell’ordine pubblico e delle risposte da dare alle crescenti richieste di maggiore efficienza della polizia e della magistratura. Si tratta di due successive “lettere aperte” a firma di un numero inizialmente limitato di Ufficiali della riserva (subito ribattezzati i “Generali in babbucce”) che indirizzano al Capo dello Stato un allarmato appello affinché intervenga urgentemente a sanare l’emergenza creata dall’integralismo islamico e dalla decadenza complessiva del Paese. I toni di entrambe le “tribunes” sono particolarmente virulenti ed espliciti, con il ricorso a una terminologia francamente inappropriata, o almeno inusuale per un Paese come la moderna Francia Repubblicana: vi si minaccia un reale pericolo di guerra civile come conseguenza di un imbarbarimento generale dei costumi e dei valori portanti della società.

Sulla sostanza poche le sfumature differenziate fra i due appelli; sul piano del metodo tuttavia è rilevante la circostanza che entrambi abbiano trovato “ospitalità” sulla rivista ultraconservatrice “Valeurs Actuelles” che non ne ha esitato a diffondere su supporto informatico una seconda versione sottoscritta stavolta da firmatari anonimi, invitando i “navigatori” della rete ad assicurarvi, con l’implacabile sistema dei “like”, un quasi pavloviano allargamento dei consensi, ancora in corso d’opera. Se molte voci si sono levate per condannare l’iniziativa, richiamando i militari al proverbiale riserbo “apolitico” cui dovrebbero essere tenuti, molteplici sono gli intellettuali e gli opinionisti conservatori che si sono più o meno apertamente schierati a fianco dei firmatari e dei cittadini che hanno espresso la loro adesione alla “tribuna aperta”.

L’iniziativa è stata subito decantata come doverosa e patriottica da Marine Le Pen (forte del sostegno di cui gode presso le Forze dell’Ordine e gli uomini in uniforme) quasi ad anticipare e a condizionare la reazione ufficiale dei vertici delle Forze Armate e dello stesso Presidente: stretti come appaiono fra Scilla e Cariddi, nel dilemma fra modalità di condanna severa e ferma, sino all’adozione di misure disciplinari, e risposte concrete con i fatti, per non ingigantire la polemica verbale e il confronto diretto con gli interessati e con la pubblica opinione che li sostiene.

La Ministra della Difesa ha messo comunque allo studio sanzioni specifiche per alcuni primi firmatari con il grado di Generale della riserva, mentre il Presidente si è fatto ostentatamente riprendere, in occasione delle cerimonie dell’anniversario della vittoria nella Grande Guerra, in un prolungato conciliabolo con i Capi di Stato Maggiore ispirato a cordiale serenità, prima che essi deplorassero ufficialmente l’iniziativa e rivolgessero asciutte ma severe reprimende ai loro sottoscrittori. Continuano, in questi giorni, le dichiarazioni di aperta condanna di esponenti di primo piano della maggioranza, come il Ministro dell’Economia Le Maire o quello dell’Interno Darmanin (entrambi ex gollisti) che non hanno mancato di stroncare i toni apocalittici dell’appello e stigmatizzare duramente la “codardia” dell’anonimato. Ancora più fermo l’anatema del pur mite Primo Ministro Castex (anch’egli proveniente dalla destra classica) e di ulteriori esponenti governativi che hanno esplicitamente evocato l’esistenza di una vera e propria inquietante macchinazione politica mirante alla destabilizzazione.

Tutti questi elementi confermano la virulenza del dibattito politico, la centralità che vi assume di fatto l’agenda di Marine Le Pen e conseguentemente il richiamo, da più parti invocato, al ripristino di un fronte comune istituzionale che valga a sbarrarne nuovamente l’avanzata. Non a caso si ricorda qui ripetutamente, parafrasandola, la lapidaria espressione di Bertoldt Brecht: … chi non osa schierarsi per brigare la vittoria, sappia che è destinato ad essere protagonista della sconfitta…

l’Abate Galiani


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