La scena è di quelle che rimarranno per sempre nell’immaginario collettivo: due uomini regalmente assisi sulle loro poltrone, una signora adagiata su un sofà.
La prima sensazione che si ha è quella di una donna relegata ad un ruolo secondario, ancillare. Un’umiliazione che tocca i precordi, risveglia frustrazioni millenarie.
La complessità delle istituzioni dell’Unione europea a volte pone le Cancellerie mondiali di fronte a raffinate interpretazioni protocollari. La prima domanda che viene posta è: chi conta di più, il Presidente del Consiglio europeo o il Presidente della Commissione europea?
L’articolo 15 del Trattato di Lisbona stabilisce che per le materie relative alla PESC (politica estera e di sicurezza comune) sia il Presidente del Consiglio europeo ad assicurare la rappresentanza esterna dell’Unione (ferme restando però le attribuzioni al riguardo dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza), quanto invece agli altri settori dell’azione esterna, l’articolo 17 attribuisce espressamente alla Commissione il compito di rappresentare l’Unione. È ovvio poi che il livello della rappresentanza varierà a seconda del livello protocollare dell’evento. Per la PESC, infatti, se è in linea generale l’Alto Rappresentante che “conduce a nome dell’Unione il dialogo politico con i terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali”, spetta invece al Presidente del Consiglio assicurare la rappresentanza dell’Unione al suo livello. Analogamente, nel caso della Commissione, la sua rappresentanza può essere garantita, in ragione delle stesse considerazioni, sia dal suo Presidente che da uno degli altri membri.
Pertanto è semplicistico asserire che al Presidente Michel spetta lo status dei capi di Stato mentre alla Presidente von der Leyn quello di capo di Governo, poiché, per evitare qualsiasi incidente, sarebbe bastato attenersi alla prassi finora seguita, ovvero prevedere una rappresentanza congiunta, come peraltro avviene costantemente durante gli incontri con i capi di Stato o di governo esteri, negli incontri G20 e come lo stesso Erdogan aveva organizzato il 16 novembre 2015 ad Antalya, semplicemente affiancando due poltrone equidistanti, per i leader UE dell’epoca, Jean-Claude Junker e Donald Tusk.
Appare del tutto evidente che si è trattato di una precisa scelta politica da parte del Presidente di un paese che si è ritirato dalla convenzione sottoscritta proprio a Istanbul, punto peraltro in agenda nell’incontro. Il sultano non ha voluto mettersi alla pari con una donna, per di più non velata.
Ma non basta, da abilissimo player sullo scacchiere mondiale, Erdogan è riuscito, con una sola mossa, a fare simultaneamente scacco alla regina e scacco al re, conseguendo una serie di risultati brillantissimi dal suo punto di vista.
Il primo, lo scacco alla regina, viene ampiamente sbandierato su tutti i media del mondo, ed è rivolto a tutte le donne del pianeta, non solo a quelle occidentali, libere ed emancipate, ma anche e soprattutto all’immenso ed articolato mondo islamico, nonché all’universo africano e latinoamericano. Il messaggio, infatti, è di una chiarezza lampante: potete studiare, lavorare, guadagnare, ma qui - e non solo qui, questo è il messaggio subliminale – io posso umiliare la donna più potente della terra; nel mio mondo - che a questo punto diventa molto più ampio dei confini della sola Turchia - sempre fimmina da sofà sarai, tu e tutte le femmine del mondo. Con tutto ciò che ne consegue.
Ma il Presidente turco è riuscito anche in un ancor più brillante risultato dal suo punto di vista, per lui non meno importante: quello di mettere in luce la fragilità dell’Europa proprio nel campo per questa fondamentale. E questo è un vero e proprio scacco al re. Obiettivo della visita dei due Presidenti era presentare le condizioni dell’Unione, decise nel vertice dei leader UE del 25 marzo scorso, per una graduale ripresa delle relazioni. Nell’assumere la decisione i leader UE nelle dichiarazioni finali avevano ribadito a chiare lettere che “Lo Stato di diritto e i diritti fondamentali rimangono una preoccupazione fondamentale”. Ebbene, alla prima occasione, uno dei due rappresentanti delle istituzioni europee viene offeso pubblicamente e l’altro lo accetta “per non peggiorare la situazione”, come ha dichiarato. Spesso le giustificazioni sono peggio ancora delle azioni.
Il comportamento del Presidente Michel è di una gravità lampante. Infatti, non si è trattato solo di uno sgarbo nei confronti del genere femminile, ma più in generale nei riguardi dell’Unione, di una violazione dei principi e dei valori su cui si fonda, in una stagione molto problematica per l’Unione stessa, in cui annaspa nel far fronte alla crisi pandemica attraverso il reperimento dei vaccini.
Grandi player come la Cina, la Russia e la stessa Turchia - che, come dimostra la vicenda libica, ambisce ad avere un ruolo di sempre maggior rilievo sullo scacchiere mondiale - agiscono nelle rispettive sfere di influenza con spregiudicatezza; negli stessi Stati Uniti Biden, pur con toni molto diversi da quelli di Trump, persegue nella sostanza con educata ma lucida determinazione una politica ispirata all’“America first”, e l’Unione, culla della democrazia e dello Stato di diritto, nonché paladina dei diritti fondamentali, non riesce a farsi rispettare da un autocrate.
Occorre lavorare per ricostruire un rapporto di fiducia tra l’Unione ed i cittadini europei, stremati economicamente e psichicamente da una pandemia che l’Unione ha dimostrato di non saper gestire con la necessaria tempestività ed incisività, soprattutto a confronto del Regno Unito in exit.
Bene ha fatto il Presidente Draghi a condannare il comportamento di Erdogan, peraltro usando un termine di rara durezza, soprattutto da parte di un uomo noto per ponderare accuratamente le parole, e ad esprimere la sua solidarietà alla von der Leyen.
Imperdonabile Michel, che a nostro avviso dovrebbe lasciare l’incarico, per non aver difeso quei diritti la cui causa era stato incaricato di perorare davanti ad un …uomo che non perde occasione per non rispettarli, per non essersi mostrato degno di rappresentare l’Europa, i valori fondanti per cui l’Unione Europea è stata creata all’indomani del secondo conflitto mondiale sul sangue di quanti hanno perso la vita per combattere e annientare un dittatore.
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