Con questo articolo Il Commento Politico apre la rubrica Lettera da Berlino, in vista delle elezioni federali del prossimo 26 settembre, che vedranno l'uscita di scena della Cancelliera Angela Merkel dopo 16 anni alla guida della Germania
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Lettera da Berlino
Evidentemente tutto il mondo e in ispecie l’intera Europa guarda con curiosità e anche con un po’ di apprensione alla Germania che tra quattro mesi eleggerà un nuovo parlamento e avrà certamente una nuova cancelliera o un nuovo cancelliere. La lunga era di Angela Merkel (dal 2005) sta finendo, con meno gloria di quanto ci si sarebbe immaginato ricordandone i momenti di esaltazione quando per cinque volte di seguito dalla rivista Forbes fu etichettata la “donna più potente del mondo” (2010-2015).
In Germania il calo di consenso nei suoi confronti è certamente dovuto all’impressione generale che dopo un primo momento di gestione autorevole e trasparente della pandemia (nel 2020), soprattutto la politica delle vaccinazioni (nel 2021) sia stata organizzata in modo maldestro, con tanti conflitti, a spese del cittadino, tra le istanze nazionali a Berlino e il livello federale dei singoli Bundesländer.
Da questo punto di vista la Germania rispecchia in parte, su piccola scala, il dilemma dell’UE che si trova ad affrontare la delusione dei propri cittadini. Bisogna prendere atto di due atteggiamenti dominanti del sovrano democratico tedesco, interconnessi tra di loro: si tratta di un sovrano che fortemente manifesta l’esigenza di essere garantito e rassicurato, e che è, da qualche anno, disponibile a spostare il proprio voto e a cambiare preferenze riguardo i partiti politici. Quando la Merkel parlò del dovere da parte dell’UE di “deliver” nei confronti dei cittadini diede voce a questa aspettativa di reciprocità: consenso e identificazione con le istituzioni politiche, ma solo a condizione che esse siano in grado di offrire quella protezione efficace di cui parlava già Thomas Hobbes.
Nella repubblica federale il declino di Angela Merkel ha messo a nudo i dilemmi del partito democristiano. Vivaci sono le discussioni intorno alla domanda quale sia la vera identità del partito di Konrad Adenauer e Helmut Kohl, quali ne siano oggi e in un domani forse ancora più europeo i pilastri ideali. Questo “partito popolare” improvvisamente (ma, direi, improvvisamente solo all’apparenza) sembra trovarsi in una situazione simile a quella della SPD, il partito socialdemocratico, che ha perso al contempo bussola e seguaci. Di questo disorientamento dei due grandi “Volksparteien” sta attualmente approfittando il partito dei “Verdi” che può rivendicare di aver insistito da decenni sui temi ora finalmente arrivati nel cuore dell’agenda europea: clima e ambiente. Per di più i Verdi lanciano come candidato Kanzler(in) una figura simpatica e brava come Annalena Baerbock (*1980) che sembra incline a realizzare nel Bund la linea verde moderata come viene praticata con tanto successo nel Land Baden-Württemberg dal pragmatico “Padre della Regione” (“Landesvater”) Winfried Kretschmann (*1948) che nella capitale Stoccarda, con una coalizione di governo insieme ai democristiani (appena rinnovata nella primavera del 2021), riuscì ad armonizzare le autentiche ambizioni verdi con gli interessi imprenditoriali innovativi tipici di quella regione, patria dell’industria automobilistica della Germania.
Mentre i Verdi volano in alto, l’estrema destra dell’“Alternative für Deutschland” non ha saputo fino ad oggi cogliere il momento di debolezza dei partiti popolari. La AfD cerca di agganciarsi qua e là al movimento di “Quelli che la pensano diversamente” (“Querdenker”), cioè degli avversari della politica prudenziale messa in atto dal governo federale nella pandemia, che tuttavia, nell’insieme, ha sottratto consenso ai populisti di destra. In nessun momento essi hanno saputo offrire una narrazione plausibile e una proposta politica attraente ai cittadini bisognosi di prospettive positive.
Christiane Liermann Traniello
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