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“La grande bouffe”

Lettera da Londra


Il consumatore britannico, lasciato finalmente libero di occupare in massa Oxford Street ed i suoi Department Stores, sembra uscito dal celebre film di Marco Ferreri degli anni ‘70. Si sta abbuffando di qualsiasi cosa su cui riesca a mettere le mani. Nonostante lo spettro delle nuove varianti che si profilano ogni giorno, sembra deciso a interrompere l’astinenza da shopping che ha dovuto sopportare nell’ultimo anno. Costi quel che costi.

La ripresa dei consumi privati britannici in questo secondo trimestre del 2021 è forte, frutto anche dell’utilizzo parziale dei 150 miliardi di “extra savings” che i consumatori hanno messo da parte lo scorso anno. La proiezione di crescita reale 2021 della Bank of England è al 7.25%. Oxford Economics addirittura vede l’8% con un picco di crescita annualizzata dei salari durante l’estate del 7% e poi in lieve diminuzione. Un ritmo frenetico che potrebbe denotare una certa ansia per il futuro piuttosto che una ritrovata e duratura fiducia. Questo è vero in generale per tutte le economie avanzate dopo il lock-down.

È una fase che, sullo sfondo di un’euforica celebrazione di libertà, contiene anche il timore che questa sia solo un’illusoria finestra temporale. A Londra, il 21 giugno doveva essere la data del ritorno alla normalità ma le varianti del virus (soprattutto la Delta) stanno aggredendo di nuovo il Paese e i sacrifici non sono ancora finiti. Boris Johnson sta invertendo la marcia ed ha già spostato di quattro settimane, al 19 Luglio, il giorno del “liberi tutti”, inclusi i viaggi all’estero – ma forse anche questa data potrebbe saltare.

A parte l’aspetto psicologico immediato, resta comunque da vedere quanto ci metterà l’enorme liquidità che tutte le autorità monetarie, incluse quelle britanniche, hanno immesso nel sistema a tradursi in consumi privati non episodici ma sostenibili nel tempo. Probabilmente ci vorranno almeno due anni per valutare questo consolidamento, a Londra come nell’Unione Europea. Intanto nel Regno Unito stiamo assistendo ad un ulteriore aumento del peso del settore Servizi nel suo complesso rispetto al settore Manifatturiero. E questo è tanto più degno di nota perché i servizi finanziari sono in diminuzione strutturale a causa della Brexit. Quindi a spingere sono soprattutto i servizi legati alla persona ed ai suoi nuovi modelli comportamentali.

La “Grande Londra”, che solitamente è responsabile del 40% di tutta la crescita britannica (più di Galles e Scozia sommate) sta pagando un prezzo molto duro. Il National Institute for Economic and Social Research stima che la disoccupazione a Londra aumenterà dell’80% nei prossimi due anni per l’effetto combinato della Brexit e della pandemia - che ha indotto una enorme crescita dello smart working e ha lasciato vuoti moltissimi edifici nella City. Centinaia di miliardi di sterline di assets e migliaia di posti di lavoro si sono recentemente spostati verso hubs europei.

Di fronte a questa prospettiva così incerta nel suo assetto di medio termine, riuscirà questo “surge” improvviso di domanda degli ultimi tre mesi (con il collegato aumento dei salari) a far salire l’inflazione e riportarci in un canale più ortodosso di politica monetaria? Non è detto, sia perché questa fiammata di domanda è troppo legata alla fine di una crisi di astinenza di consumi, sia perché la pandemia sta provocando uno shift dello stile di vita e dei consumi privati di cui è ancora difficile capire in pieno la dinamica e la vischiosità.

Il G7 in Cornovaglia

Su questo sfondo britannico ambivalente, Boris Johnson, estroverso padrone di casa al Vertice G7 appena concluso, ha registrato un discreto successo diplomatico e non solo per la riaffermazione della “special relationship” tra Londra e Washington. I risultati sono abbastanza chiari e già annunciati da tempo: da uno a due miliardi di dosi di vaccino per i paesi poveri entro il 2021 (ma ce ne vorrà un multiplo di tale cifra per avere un effetto definitivo), alle misure per il cambiamento climatico, la crescita sostenibile, l’economia verde, il rafforzamento del sistema multilaterale, la sicurezza delle reti informatiche, etc. Senza dimenticare la corporate tax globale di “almeno il 15%” - di cui però i grandi gruppi multinazionali non si preoccupano granché, dato che il valore dei loro titoli azionari (obbiettivo primario) è frutto di un moltiplicatore del margine operativo lordo e non dei profitti netti. Insomma, un comunicato finale molto coerente, denso di impegni comuni, alcuni precisi, altri ancora aperti. E, in fondo, anche una celebrazione dell’uscita di scena di Trump e della sua politica “eversiva” del sistema multilaterale.

Detto questo, il vero trionfatore del Vertice di Cornovaglia è stato Mario Draghi, di cui tutti gli altri leaders hanno chiaramente colto non solo la vasta competenza economica ma anche le doti di guida, di lucidità, di visione strategica. Forse c’è anche un po’ di invidia nei suoi confronti: non dipendendo direttamente da un’elezioni politica, il nostro premier può permettersi uno sguardo molto lungo e molto coraggioso. E infatti Draghi sembra aver dettato l’agenda e “gestito la classe” con mano ferrea in guanto di velluto.

C’è stato però tra i partecipanti europei un ovvio timore per gli incerti scenari politici e di governo che si profilerebbero in Italia (con forti contraccolpi continentali) se Draghi fosse eletto al Quirinale tra sette mesi, determinando probabilmente elezioni anticipate. The Big Question.


Samuel Pepys Jr

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