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La Lega e il referendum

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha scritto oggi una lunga ed articolata lettera al direttore della Repubblica sul tema del prossimo referendum sul taglio dei parlamentari per esporre le ragioni per cui egli schiera il suo partito a favore del Si. Il Commento Politico ritiene questa riforma in sé completamente sbagliata e politicamente pericolosa perché premierebbe gli aspetti peggiori dei Cinquestelle e per la verità non è neppure convinto delle ragioni che Zingaretti offre ai suoi militanti per indurli a votare sì. 

Peraltro, lo stesso Zingaretti riconosce che anche molti dirigenti ed elettori del suo partito hanno “una comprensibile e sana preoccupazione di non procedere con atti isolati che possano mettere in squilibrio il funzionamento delle istituzioni e della democrazia”, anche se  si mostra fiducioso  che i suoi alleati dimostrino una lealtà verso il PD e verso il patto di coalizione che noi non ci sentiamo di condividere non vedendo su che cosa tale fiducia possa fondarsi. Su questo punto torneremo  più ampiamenti nei prossimi giorni. 

Nella lettera però vi sono due affermazioni politiche significative. La prima è che “il No, a prescindere dal merito, diventa la clava per colpire il Pd, la maggioranza ed il governo”. La seconda, che ne è la conseguenza, è che se prevalesse il No, non vi sarebbe altra via  che elezioni anticipate perché “le ipotesi di un governo di tutti inevitabilmente umilierebbero ancora una volta la politica”.

A noi sembra che questa netta presa di posizione dovrebbe indurre Matteo Salvini a interrogarsi se la sua scelta per il si nel referendum, peraltro apertamente discussa da importanti dirigenti del suo partito e accompagnata da ancora più eloquenti silenzi da parte di altri autorevoli esponenti, abbia ancora un senso e non rischi di aggravare le già evidenti difficoltà in cui il leader della Lega si dibatte.

La Lega affronta la prossima tornata elettorale e referendaria in condizioni molto complicate. Oltre al calo complessivo dei consensi registrato in tutti i sondaggi sembra svanita l’idea di poter diventare a pieno titolo un partito nazionale. La crescita costante di consensi registrata da Fratelli d’Italia sembra avvenire proprio a spese degli ancor troppo fragili avamposti della Lega, mentre la stessa Forza Italia dimostra nel Mezzogiorno una capacità di tenuta molto superiore che nel resto del paese.

Ma c'è molto di più. A parte il Veneto dove è previsto un trionfo di Zaia (che peraltro si va accreditando come il principale competitor interno di Salvini), la possibile vittoria in Puglia e nelle Marche premierebbe i candidati di Fratelli d’Italia. In Liguria è in vantaggio Toti che resta comunque espressione di Forza Italia. A Salvini non resterebbe dunque che assistere alla sconfitta della sua candidata in Toscana, facendo così il bis del tentato assalto alle roccaforti rosse già fallito in Emilia e da cui è cominciato l’appannamento progressivo della sua figura di leader del centro destra.

Salvini non può non essere consapevole di tutto questo, così come è consapevole del fatto che la vittoria del Si rafforzerebbe il Governo la cui durata nel tempo contribuisce al ridisegno dei rapporti di forza interni al centrodestra a svantaggio della Lega. Un governo in cui il peso negoziale dei Cinquestelle aumenterebbe e che quindi con difficoltà potrà resistere alle pretese dei grillini di destinare quante più risorse è possibile – di quelle negoziate in Europa – a interventi assistenziali e improduttivi. Come spiegherà le sue titubanze a quello che è rimasto il suo vero e solido bacino di consenso, rappresentato dalla piccola e media industria  del centro nord e che chiede investimenti, infrastrutture, nuove relazioni di lavoro?

Non a caso Silvio Berlusconi si è smarcato da questa irresistibile corsa al Si capeggiata a destra da Fratelli d’Italia. Se Salvini punta ad una campagna elettorale che lo veda ancora come il front man del centrodestra forse farebbe bene ad uscire in fretta dall’immobilismo che lo ha caratterizzato negli ultimi dodici mesi e a scompaginare le carte che in questa vicenda vengono distribuite soprattutto da Di Maio e dalla Meloni. Il cerino che tutti i protagonisti della politica si stanno freneticamente passando in questa confusa campagna elettorale referendaria corre il rischio di ritrovarselo tra le mani.

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