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La sfida scozzese

Lettera da Londra


Il dado è tratto. E ben oltre le aspettative della vigilia. Le elezioni per il Parlamento Scozzese del 6 Maggio hanno dato nuovamente la maggioranza assoluta allo Scottish National Party assieme ai Verdi – 72 seggi su 129 (55.8%) – con un sistema misto di maggioritario e proporzionale che non rende l’idea delle forze in campo. Infatti, se si considera l’head-count puro e semplice, si stima (perché i dati specifici non sono ancora disponibili) che questi due partiti abbiano avuto più di due terzi dei voti, oltretutto con un turn-out da record per la Scozia (65%). Questo mostra che la piattaforma indipendentista, a differenza del 2014, potrebbe adesso essere maggioritaria in un nuovo Referendum su base proporzionale (IndyRef2).

Lo SNP (insieme ai Verdi) chiederà a Londra, in tempi brevi, un secondo Referendum sull’Indipendenza scozzese - progettando, inoltre, un rientro nell’Unione Europea. Boris Johnson continua a ripetere che non lo concederà (l’ultimo fu tenuto 7 anni fa) ma siamo al primo set di un match che non si risolverà se non dopo aspre battaglie politiche, legali e costituzionali - un processo ancor più lacerante della Brexit. Nel frattempo il contraccolpo negativo sulla Borsa di Londra potrebbe essere sensibile. I mercati finanziari inizieranno a scontare una possibile, problematica divisione tra le attività economiche, finanziarie ed istituzionali delle due nazioni – perché di due nazioni si tratta. Una più nordica di origine prevalentemente danese/scandinava, l’altra di origine prevalentemente sassone/normanna.

Infatti da soli 313 anni la Scozia è compiutamente (ma su base volontaria - e questo è un punto dirimente) parte integrante del Regno Unito – anche se nei precedenti 400 anni gli intrecci dinastici tra le due nazioni furono molteplici seppur complessi. Un’Unione che in fondo, pensandoci bene, ha coinvolto solo una dozzina di generazioni, lasciando profonde differenze culturali tra i due popoli. Del resto, la Scozia è stata storicamente più allineata alle potenze europee rispetto all’Inghilterra e il legame con l’Europa è ancora stretto e piuttosto… sentimentale. In questi tre secoli l’Inghilterra ha saputo trarre profitto dal coraggio e dall’energia dei soldati scozzesi – senza i quali forse l’Impero britannico non sarebbe nato o non sarebbe stato così esteso. E, naturalmente, ha tratto vantaggio anche dal petrolio del Mare del Nord. Tutto questo potrebbe ora diventare un puzzle molto complesso da risolvere e un gran grattacapo costituzionale. Gli scozzesi rappresentano solo il 15% dei cittadini del Regno Unito, ma la Scozia riveste un ruolo fondamentale anche nel sistema di difesa britannico, in quello finanziario e ovviamente nel campo energetico.

In tempi ragionevoli, la nuova maggioranza al Parlamento Scozzese formulerà, con calma e determinazione “scozzesi", la richiesta formale di un nuovo Referendum sulla base del fatto che la pandemia e la Brexit (a suo tempo rifiutata nettamente dagli scozzesi) hanno fatto nascere una situazione nuova rispetto al Referendum del 2014 (del resto perso per un soffio). Sarà difficile per Boris Johnson resistere ad una richiesta per un nuovo Referendum, da tenersi entro 3-5 anni. Il fatto stesso di iniziare una possibile battaglia legale e costituzionale avrà un impatto non positivo sulle aspettative degli investitori, degli elettori e dei consumatori.

Tutto ciò si svolge, fortunatamente, sullo sfondo di una certa euforia che ha pervaso l’economia e la borsa di Londra nelle ultime settimane dopo il calo notevole dei contagi. È con malcelata soddisfazione che la scorsa settimana la prima pagina del Financial Times titolava: “Eurozone in double-dip recession”, citando la nuova contrazione produttiva in Europa nel primo trimestre dell’anno. Goldman Sachs stima per Il Regno Unito una crescita 2021 del 7.8% rispetto ad una crescita della UE di solo il 4.5%. Insomma, un rimbalzo invidiabile, seppur probabilmente temporaneo dati gli squilibri dell’economia britannica - quel che solitamente si definisce un “relief rally” .

In ogni caso, non sarà semplice per la Regina “orientare” (Her Majesty infatti “ispira” senza governare) le prossime tornate di quest’ulteriore e tormentata fase. Dopo la lunga crisi legata alla saga di Lady Diana, abbiamo attraversato la Brexit, con i suoi miraggi velleitari e le crescenti complessità della politica economica e del posizionamento internazionale del Regno Unito. Si sono poi aggiunte le tensioni legate all’ “uscita” di Harry e Meghan. Poi l’immenso dramma della pandemia, forse appena superata. Ora sopraggiungono i risultati scozzesi, con un Primo Ministro inglese che al momento si rifiuta di considerare la nuova situazione politica in Scozia, generando ulteriore sfiducia tra le due nazioni. Ultima ciliegina sulla torta: il rischio, inedito e grottesco, di uno scontro navale con la “cugina” Francia sulle zone di pesca ai crostacei nelle acque finora comuni. Cose mai viste dai tempi dei Tudors. Trenta anni faticosi anche per Elisabetta II. Un sovraccarico di tensioni che sfiancherebbero qualunque Capo di Stato, anche senza 70 anni di Regno e di immensa esperienza sulle spalle.

La Regina ha sempre fatto capire che non ha intenzione di abdicare. La sua energia mentale è tuttora molto alta e la sua popolarità alle stelle. Ma alla luce delle vicende scozzesi e delle lacerazioni che possono determinarsi, un dubbio si insinua in alcuni consapevoli sudditi britannici. C’è da chiedersi, ora che il Principe Filippo non è più al suo fianco, se la Regina stessa non stia considerando che la “sfida scozzese”, con il pericolo di una divisione del Regno Unito, richieda energie nuove e un deciso cambio di fase: un sovrano più giovane, capace di infondere alle prossime generazioni un nuovo, rivitalizzato “sense of purpose” per il Paese. Che questo sia Charles o William - che l’anno prossimo compie 40 anni - resta da vedere.


Samuel Pepys Jr.

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