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La spallata non c’è stata: e ora?

Come sempre i giornali post elettorali commentano con diverse sfumature i risultati delle consultazioni. C’è però un dato che accomuna tutte le analisi: “La spallata è fallita, la legislatura è blindata, un’assicurazione per Conte”.

Non sono frasi pronunciate da Zingaretti dopo aver pareggiato le elezioni conservando la preziosa Toscana o da Di Maio mentre si intestava il successo del Sì al referendum. Sono i titoli di prima pagina del più antico quotidiano del centro destra e cioè Il Giornale.

La vita del governo e della legislatura sembrano perciò assicurate.

Il Commento Politico ritiene quindi indispensabile sottolineare la necessità che questa bolla di stabilità sia utilizzata nel migliore dei modi.

Due sono le questioni che ci sembrano assolutamente prioritarie.

La prima è che si proceda finalmente ad apprestare un programma di utilizzazione dei fondi europei in grado di far ripartire lo sviluppo e l’occupazione. Fin qui il governo ha prodotto solo delle Generali linee guida ed è stato subissato da progetti il cui ammontare complessivo è circa il triplo delle pur cospicue risorse messe a disposizione dell’Italia. Senza un’impostazione di elevato profilo, di cui abbiamo per tempo indicato i punti principali, l’esperimento del Recovery Fund italiano è destinato se non a un fallimento clamoroso, a un mezzo fallimento fatto di promesse mirabolanti e risultati mediocri e tardivi. Ci auguriamo che, liberi dagli assilli elettorali, il Presidente del Consiglio, il segretario del PD, il ministro Gualtieri e quel che resta dei 5 Stelle capiscano la posta in gioco e si impegnino a fondo per fare le cose bene.

La seconda è che si pensi per tempo al quadro politico che si presenterà tra due anni, quando comunque saranno celebrate le nuove elezioni nazionali. Il centro destra esce indebolito dalla recente tornata elettorale ed il suo attuale leader appare minacciato sia all’interno del suo partito dopo la autonoma affermazione di Zaia in Veneto, sia nell’ambito della sua coalizione dopo il successo Di Fratelli d’Italia nelle Marche e la sconfitta della candidata leghista in Toscana, che si aggiunge alla debacle di gennaio in Emilia Romagna. Tuttavia il centrodestra resta maggioritario nel Paese, come è confermato anche dal fatto che esso ormai governa quindici regioni su venti.

Cosa hanno intenzione di fare gli altri, cioè tutte le forze che non sono nel centro destra per rendere contendibili le elezioni politiche tra due anni?

È vero che fino ad allora sono in calendario ulteriori passaggi, ciascuno dei quali costituisce a suo modo un elemento di incertezza, dalle elezioni americane di novembre, alle elezioni in primavera in quasi tutti le principali città (Roma, Milano, Torino, Napoli Bologna, Palermo), all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica nel 2022. Ma è altrettanto vero che la coalizione che appoggia il governo è attraversata da contraddizioni così numerose da impedirne la trasformazione in alleanza politica.

Il taglio del numero dei parlamentari non rappresenta l’inizio di un cammino di riforme, anche se rende indispensabili alcune iniziative come la sollecita modifica dei regolamenti parlamentari per non paralizzare le Camere in un momento molto delicato per il Paese e la riforma costituzionale che ristabilisca la giusta proporzione tra parlamentari e delegati regionali nella procedura di elezione del Capo dello Stato.

Il nodo vero della questione politica sta però nella nuova legge elettorale che la maggioranza dice di voler approvare. Lì si vedrà se le forze che non appartengono al centro destra - sia quelle che appoggiano il governo, sia quelle che ne sono all’opposizione, come Calenda e la Bonino - saranno capaci di trovare una prospettiva politica convergente per non far prevalere nelle prossime elezioni politiche la coalizione a guida Salvini o forse, chissà, a guida Meloni.

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